Il Senato della Repubblica ha iniziato ad esaminare il ddl relativo alla riforma del premierato, portata avanti e sostenuta dal Governo e che prevede l’elezione popolare del premier. Così come stanno facendo dinanzi alla Autonomia differenziata, progetto riformatore che cammina insieme alla revisione della figura del Presidente del Consiglio, anche per quanto riguarda il premierato, il Partito Democratico e il Movimento 5 Stelle alzano un muro di preconcetti ideologici e di palesi banalità, evitando qualsiasi forma di dialogo con la maggioranza, la quale non chiude a possibili contributi da parte della opposizione.
D’altro canto, le riforme istituzionali vanno a determinare il futuro di tutti, e non soltanto di un partito o di una sola coalizione, perché le Istituzioni repubblicane vengono utilizzate dall’intero panorama politico, quindi, anziché intervenire con slogan e contenuti risibili, la minoranza parlamentare avrebbe il dovere di partecipare alla discussione, proponendo, com’è suo diritto, tutte le modifiche che ritiene più opportune, ma con spirito costruttivo, attento all’interesse nazionale e senza guerre sfasciste o di religione.
Invece, la segretaria del PD Elly Schlein, durante un’assemblea straordinaria dei senatori del suo partito, ha esortato i propri compagni parlamentari ad usare corpi e voci in Aula per fare muro rispetto al tentativo, secondo la leader piddina, del Governo di accelerare l’iter in Parlamento di premierato e Autonomia a fini elettorali, in vista delle Europee. Ricordiamo a Elly Schlein che Palazzo Madama non è Piazza Tienanmen, e non c’è bisogno che i senatori del PD sacrifichino i loro corpi. Poi, le solite accuse, che iniziano già ad essere trite e ritrite, sulla disintegrazione dell’Italia la quale sarebbe dietro l’angolo, in merito al “cinico baratto” in teoria avvenuto fra Giorgia Meloni e Matteo Salvini, e circa la pretesa esautorazione del Parlamento e del Presidente della Repubblica. Tali mistificazioni, anche qui, su La Voce del Patriota, sono state già smentite in abbondanza.
Brevemente, ribadiamo come il migliore antidoto ai rischi di disgregazione della unità nazionale, sia proprio un premier autorevole e stabile perché eletto dagli italiani. Premierato e Autonomia sono il frutto di una storica sintesi del centrodestra, (federalismo bilanciato da un potere centrale rappresentativo e saldo), e non sono venuti fuori da quel baratto di cui tanto parla Elly Schlein. Anche volendo, le prerogative del Parlamento e del Quirinale non possono essere ritoccate in alcun modo perché si sta lavorando, appunto, al premierato e non al semipresidenzialismo alla francese o al presidenzialismo all’americana. Ma niente, nonostante tutte le spiegazioni di buonsenso che è possibile fornire, le sinistre hanno già deciso che con il Governo non si deve parlare e che premierato e Autonomia cambieranno l’Italia in maniera abominevole. Elly Schlein, sempre nell’assemblea dei senatori dem, ha annunciato una manifestazione da tenersi il 2 giugno prossimo, contro il premierato e l’Autonomia. La scelta della data non è di certo casuale perché, nelle intenzioni della sua segretaria, il PD scenderebbe in piazza, il giorno della Festa della Repubblica, a difendere la Costituzione a rischio, diciamo così, di manomissione ad opera di quei lestofanti del Governo Meloni. Piddini e compagni vari non si smentiscono mai, e dopo l’esproprio proletario, vecchio di decenni, di altre ricorrenze nazionali come il 25 aprile e il Primo Maggio, ora vogliono accaparrarsi anche il 2 giugno, trasformandolo in una celebrazione esclusiva della sinistra. Deve essere tutta roba loro, dalle giornate commemorative alla Costituzione e fino ad arrivare alla Repubblica italiana nel suo insieme.
Importa poco l’esistenza di una destra e di un polo conservatore, anche quando diventano maggioritari e giungono al governo della Nazione, e chissenefrega se il bisogno di riformare una Costituzione nata nel secondo dopoguerra, (proprio per rivalorizzare la Carta, non per affossarla), non corrisponda ad un capriccio di Giorgia Meloni, bensì ad un sentimento diffuso in Italia da una trentina di anni oramai. Da tempo immemore ci siamo resi conto tutti, non solo a destra, di un equilibrio istituzionale che è diventato sempre più stanco, precario e responsabile di governi ballerini o innaturali. L’Italia ha attualmente la fortuna di ritrovarsi un esecutivo forte a livello elettorale e solido, grazie ad una buona leadership e al senso dello Stato di tutti gli attori della maggioranza, ma, se il tema delle riforme istituzionali dovesse essere di nuovo eluso, come spera Elly Schlein, il Paese potrebbe tornare a sprofondare in futuro nel pozzo dei governi balneari o semestrali. Chi non vede tutto ciò o meglio, fa finta di non vederlo, e non è mai disposto a ragionare su possibili riforme delle Istituzioni, è colpevole del pantano italico, che per tanto tempo ha fatto della Penisola il fanalino di coda delle democrazie occidentali. Colpevole consapevole perché forse si trova più a proprio agio rotolandosi nel fango.
Il Partito Democratico, grazie alle sabbie mobili, ha potuto governare per un decennio senza mai vincere un’elezione. La sinistra, anziché evolvere, peggiora di stagione in stagione e ci viene quasi nostalgia di quella capeggiata all’incirca trent’anni fa dal pur poco simpatico Massimo D’Alema, che presiedeva addirittura commissioni bicamerali per le riforme e parlava, non solo di premierato, ma di semipresidenzialismo. Con il metro di giudizio odierno della leadership del PD, anche il celebre Baffino dovrebbe essere considerato come un eversore anticostituzionale, al pari della premier Meloni. L’emergenza democratica è solo nelle fantasie di Elly Schlein perché l’accelerazione a fini elettorali di cui parla la segretaria dem è in realtà l’avanzare efficiente di un Governo che crede in ciò che fa e vuole portarlo a compimento in tempi ragionevoli, nel rispetto, è ovvio, delle logiche democratiche, ma senza liturgie e lungaggini di una politica immobilista, fin troppo diffusa in Italia per interminabili stagioni. L’elezione diretta del potere esecutivo, premierato o presidenzialismo, è un’antica aspirazione della destra italiana, fin dai tempi di Giorgio Almirante, ed è naturale che Giorgia Meloni e Fratelli d’Italia abbiano particolarmente a cuore oggi un cambiamento in tal senso, trovandosi oltretutto al governo della Nazione ed avendo l’opportunità, non solo di sognarlo, ma di predisporlo.
Tuttavia, FdI e gli alleati del centrodestra non hanno bisogno di portare in dote il premierato e l’Autonomia per raggranellare qualche voto in più alle elezioni europee perché il buon andamento di economia e occupazione, nonostante le difficoltà congiunturali italiane e mondiali, già mantiene e manterrà un ottimo rapporto di fiducia fra il Governo Meloni e gli italiani. Mentre la segretaria del PD arringava i suoi, invitandoli ad un corpo a corpo con il premierato, la premier Meloni interveniva ad un convegno organizzato presso la Camera dei Deputati e dedicato proprio alla riforma in questione. Il Presidente del Consiglio, con pacatezza, serenità e determinazione, ha spiegato l’utilità di quanto si prefigge il Governo con il ddl in discussione al Senato. Il premier eletto dal popolo, sorretto da una maggioranza stabile e aiutato da precise norme anti-ribaltone, può lavorare senza ipoteche nell’arco temporale di un’intera legislatura, a tutto vantaggio dell’economia, del buon funzionamento della democrazia e della credibilità italiana all’estero. Se il premier in carica, per qualsiasi ragione, deve venire meno alla propria funzione, si va a votare oppure, il primo ministro dimissionario viene sostituito da un’altra figura individuata nella coalizione che già si trova al governo.
Finisce così la brutta storia italiana dei ribaltoni, dei cambi di maggioranza nel corso della legislatura e dei governi cosiddetti tecnici, tutti irrispettosi della volontà popolare. Se la politica è autorevole e riesce a fare il proprio mestiere, ha ricordato la premier, quei poteri ai quali spetta un ruolo diverso non possono interferire oltremisura, ma se partiti e governi, a causa delle storture del sistema, non possono o non vogliono adempiere ai loro doveri, giunge sempre un terzo a colmare le lacune, non necessariamente ispirato al bene comune. Qui, e non con la democrazia diretta, vengono sviliti davvero il Parlamento, la Costituzione e finanche le prerogative del Capo dello Stato. Giorgia Meloni non vuole il premierato per sé, non avendone neppure bisogno visto che presiede un governo stabile, ma, insieme a Fratelli d’Italia e al centrodestra, intende dare alla Nazione, che ha fin troppo patito sinora l’instabilità politica e le furbizie di molti, Istituzioni rinnovate e solide che potranno essere fruite da tutti, Schlein e PD compresi. Il Governo ha scelto il premierato rispetto al più divisivo semipresidenzialismo, soluzione maggiormente cara alla destra, nella convinzione di fare spazio ad una riforma il più possibile condivisa, ma sembra che alla sinistra non interessi dialogare per il bene generale della Repubblica. Verrà chiesto il parere agli italiani, se non vi sarà un’approvazione di due terzi del Parlamento e siamo certi che il coraggio e i contenuti avranno la meglio sugli slogan, buoni solo per qualche comizio.