Era il 2014 quando Giorgia Meloni a nome di Fratelli d’Italia presentò una proposta di legge che andava contro le pensioni d’oro e i vitalizi. Quasi tutte le forze politiche presenti allora in Parlamento si espressero per il no già in commissione Lavoro della Camera. Venne detto che il tetto di 5000 euro lordi era troppo basso, e i 5stelle, gli unici che non si espressero direttamente per il no, in realtà fecero presente che avevano votato un emendamento per sopprimere l’intero testo presentato.
In realtà, ai 5stelle la proposta Meloni non stava bene semplicemente perché era arrivata prima della loro e giusto perché “il bene dell’Italia e degli italiani viene prima di tutto”, non ci misero nulla a mandare ogni cosa a gambe all’aria, anche a costo che la legge non venisse mai più partorita o, come poi è successo, dovessero trascorrere almeno altri quattro anni prima che venisse ripresa in considerazione. Stavolta, però, la proposta è loro, al governo ci sono loro, tutto il merito che dovesse esserci andrebbe a loro e quindi sotto, a parlare contro le pensioni d’oro e a presentare un testo che comunque fa discutere.
Oggi la legge presentata dal governo giallo-verde prevede un taglio alle pensioni superiori agli 80 mila euro lordi annui, circa 4 mila euro netti al mese, il che creerebbe un risparmio capace di far innalzare le attuali minime dai circa 470 euro mensili a una cifra vicina ai 780 euro. Secondo M5s e Lega, il provvedimento dovrebbe colpire circa 158mila pensioni, ma secondo quanto riportato dal quotidiano La Repubblica, la platea interessata ai tagli potrebbe essere più ampia. La Stampa, ad esempio, individua in 190mila gli assegni che verrebbero tagliati. Chi sia più vicino alla realtà non lo sappiamo, ma staremo a vedere. Nel frattempo, il ddl ha come obiettivo le pensioni uguali o superiori agli 80mila euro lordi annui, con particolare riguardo a chi ha anticipato l’età dell’uscita dal lavoro, che rischierà maggiori penalizzazioni. Sono escluse le pensioni di invalidità, di reversibilità, gli assegni per le vittime delle stragi e del dovere. Il tutto avrà valore non solo per il futuro (data di partenza 1 gennaio 2019) ma anche valore retroattivo e non colpirà solo chi è andato in pensione maturando i contributi necessari al momento del pensionamento, ma anche le pensioni di vecchiaia, cioè chi ha maturato i requisiti grazie all’età. Questo punto però lascia adito a non poche discussioni, visto che si vuole applicare un calcolo della speranza di vita in modo retroattivo addirittura dal 1974. Insomma, una cosa complessa e farraginosa, che potrebbe anche creare sperequazioni.Ma chi sono in generale questi “pensionati d’oro” che vedranno ridiscussi quelli che consideravano diritti acquisiti. Non certo magistrati e professori universitari, che potendo andare in pensione a 70 anni si ritrovano automaticamente sempre sopra alle nuove età pensionabili previste dalla legge. Fortunati loro, soprattutto i primi, che possono restare in attività anche molto in là con gli anni considerando che il loro può essere considerato tutto meno che un lavoro usurante, non avendo per altro né vincoli di orario né di presenza. Funziona allo stesso modo anche per i generali. Vanno invece sotto la forbice dei tagli le donne, i militari, che avevano criteri pensionabili più bassi, autonomi e in parte anche dipendenti privati e pubblici. In generale chi pur avendo lavorato 40anni va in pensione a 61-62 anni quando nel 2019 il tetto per accedere alla pensione è fissato a 67 anni di età.