La sinistra è pronta a festeggiare per i referendum, o meglio per la raccolta firme che sta portando avanti in tutta Italia su svariati temi. Su tutti, la questione dell’autonomia differenziata, per la quale dovrebbero essere già state raggiunte le 500mila firme minime richieste dalla legge per avviare l’iter di abrogazione. Da poco, poi, è partito anche il referendum sulla cittadinanza “ligth”, una modifica, dopo il fallimento del progetto Ius Soli di alcuni anni fa, che vorrebbe ridurre da 10 a 5 gli anni di residenza effettiva sul suolo italiano per permettere al singolo immigrato di avanzare la richiesta di cittadinanza, per poi trasmetterla così direttamente anche alla prole minorenne.
Un impegno civile
La rapida raccolta delle firme ha già impressionato, dal momento che in relativamente poche settimane il quesito per abrogare l’autonomia differenziata ha superato la soglia minima del mezzo milione di firme. Raccogliere firme, una a una, non è mai stato semplice, presupponendo un impiego di forze non indifferente: c’era bisogno di impegno, di militanza vera e propria, all’interno delle singole città, anche nei paesini, con gazebo e nelle singole sezioni di partito. Chi poneva il quesito doveva convincere il suo interlocutore, che a sua volta doveva impegnarsi realmente per la causa che stava sposando, dovendo esibire dati anagrafici e documento di identità: c’era bisogno, insomma di una volontà vera e sentita, un animus di reale partecipazione. Per questi motivi, dunque, era complicato raccogliere 500mila firme, e per molte ragioni era anche giusto così: con un referendum abrogativo, si elimina dall’ordinamento una legge già votata e approvata da un Parlamento, dunque da una maggioranza che aveva già ottenuto il favore dei cittadini. Dunque, con il referendum abrogativo, si ha il fenomeno di una nuova maggioranza che vuole sostituirsi a un’altra prima del termine del mandato parlamentare di cinque anni: anche per questo, dunque, fu voluto un vincolo così forte. Se, insomma, c’era realmente l’intenzione di abrogare una legge, bisognava raggiungere quanti più cittadini.
La vera sfida
Oggi le modalità sono cambiate: a fronte della consueta raccolta firme nelle piazze e nei gazebo, le nuove modalità digitali hanno facilitato l’iter. Ci si può autenticare mediante Spid e si accede allo sportello ufficiale dedicato ai referendum. Modalità che, di fatto, hanno iniziato a svuotare il senso stesso della raccolta firme, il processo di convincimento dell’interlocutore, la militanza nelle piazze e nelle sedi di partito. Modalità che iniziano a svilire anche il senso dello stesso istituto: se proliferano le raccolte firme, e se viene raggiunta così facilmente la soglia minima delle 500mila firme, allora verrà meno il significato di un tale processo, mancando in realtà il largo consenso inizialmente richiesto. Nello specifico, se una forza politica propone un’abrogazione, con le nuove modalità digitali è più semplice raccogliere esclusivamente le firme di militanti e simpatizzanti. La vera partita, poi, si gioca al momento del referendum stesso: da 500mila firme, quella forza politica deve portare al voto il 50% più uno degli elettori, circa 24 milioni, e quasi nessun partito dispone di una tale capacità.
Lo spettro della Consulta
Occhio, dunque, a festeggiare prematuramente. Anche perché, prima ancora di arrivare al voto effettivo, c’è sempre un altro ostacolo che si frappone: la Consulta, organo preposto a convalidare le firme raccolte e, specialmente, il quesito riportato, che deve essere chiaro e suscettibile di un’interpretazione univoca. Nel caso del referendum sull’autonomia, infatti, più di qualcuno ha iniziato a parlare del possibile parere contrario della Consulta, il che sarebbe la conclusione beffarda di un’intera estate, per la sinistra, fatta di esultanze premature.
Infatti, il vero giudice è la Consulta, staremo a vedere!