“La madre di tutte le riforme” sta arrivando al suo completamento nella speranza, espressa dal centrodestra, di ricevere il primo sì entro fine aprile. Un’impresa possibile ma sicuramente non poco ardua: gli emendamenti delle opposizioni sono circa 2600. Un numero elevatissimo, figlio dell’ostruzionismo dichiarato della sinistra: se la strategia del Movimento Cinque Stelle è stata quella di presentare una ventina di emendamenti mirati, il Partito Democratico e Alleanza Verdi e Sinistra si sono distinti per aver portato al vaglio della commissione Affari costituzionali del Senato, presieduta da Alberto Balboni, una vera e propria pioggia di emendamenti, molti dei quali somiglianti tra loro e pure anti-costituzionali, il cui vero fine non è quello di apportare miglioramenti a una riforma cruciale per la Nazione, ma di creare ostacoli al suo iter di formazione e di approvazione. Chissà quanto ostruzionismo ci dovremo ancora aspettare… L’unico emendamento delle opposizioni finora approvato è stato presentato da Italia Viva e prevede la maggioranza assoluta per l’elezione del presidente della Repubblica dopo il sesto scrutinio, e non più dopo il terzo come funziona attualmente. Un’altra conferma che chiarisce la volontà di non delegittimare la figura del Capo dello Stato, come invece paventato dalla sinistra.
Oggi al vaglio della commissione proprio l’articolo 3, quello più controverso che riguarda l’elezione diretta del Presidente del Consiglio. L’articolo probabilmente più temuto dalla sinistra, in merito al quale il suo ostruzionismo si è fatto più feroce: gli emendamenti hanno riguardato, per esempio, la durata dell’incarico del premier e proponevano idee assurde e irrealizzabili (tre giorni, ventidue ore) o ancora soggiogavano il premio di maggioranza a un quorum elevatissimo (90%, 94%). Chiari segnali, questi dell’ostruzionismo, del timore che una tale riforma provoca nella sinistra: non solo per il forte consenso che la sua approvazione favorirebbe a Fratelli d’Italia e al centrodestra, ma anche perché porterebbe alla modifica di quel modus operandi che ha permesso alla sinistra di andare per anni al governo. Come successo, ad esempio, alle elezioni del marzo 2018: il centrodestra unito vinse de facto le elezioni, conquistando il maggior numero di seggi sia al Senato che alla Camera, più del Movimento Cinque Stelle (che ottenne il 33%) e della coalizione del centrosinistra, capitanata dal PD al 18%. Ma, la forte instabilità e l’impossibilità numerica per il centrodestra di formare una maggioranza di governo provocarono non solo pesanti lungaggini nella formazione del governo (il primo governo Conte salirà a Palazzo Chigi solo in giugno) ma permisero la nascita di miscugli e di esperimenti politici – chiamiamoli così – parecchio fallimentari, dando la possibilità di formare un governo anche a chi non aveva vinto le elezioni. Uno su tutti, il PD.
È questo, dunque, che spaventa i dem: eliminare la possibilità di creare coalizioni post-elettorali equivale a cancellare quell’ultima speranza che ha permesso per anni a partiti minoritari di formare, tramite l’inciucio, governi caduchi, crollati dopo pochi mesi dalla nascita a causa della loro alta litigiosità. L’elezione diretta del Presidente del Consiglio prima o poi arriverà, ed eliminerà questa eventualità. Con buona pace della sinistra e dei suoi 2600 emendamenti.