Premierato, sì in commissione: va avanti la riforma che cambia l’Italia

Può essere considerato un passo storico verso la riforma costituzionale il primo sì della commissione Affari Costituzionali del Senato, arrivato dopo 5 mesi di lavori. La riforma, dunque, fortemente voluta da Giorgia Meloni, punto cardine del programma elettorale di Fratelli d’Italia e del centrodestra, sta diventando realtà: già dalla prossima legislatura, infatti, di questo passo, potremmo vedere l’elezione diretta del Presidente del Consiglio.

Inciuci di palazzo addio

Un risultato che sarebbe dunque storico, in direzione di quella piena legittimità del premier che in Italia spesso è mancata, specialmente con gli ultimi governi: tra impasti e inciuci, la volontà popolare espressa tramite il voto è stata spesso ribaltata dalle logiche di palazzo, venendosi a creare coalizioni totalmente distanti da quelle presentatesi agli elettori. E per quanto questo sistema abbia trovato sistemazione e una catalogazione all’interno del diritto pubblico (si parla di parlamentarismo compromissorio post-elettorale), la realtà dei fatti ne ha decretato la sua alta fallibilità. Solo un alto consenso può garantire stabilità al governo, e quindi alla Nazione intera. Altrimenti, ci si ritrova a fare i conti con esecutivi accozzaglie prive di indirizzo politico. O, peggio ancora, si vede diventare Presidente del Consiglio un volto totalmente ignoto agli elettori. Come quello di Giuseppe Conte nel 2018.

Apertura del centrodestra

La prima bozza ufficiale della legge, con una forma probabilmente non lontana da quella che troverà approvazione completa nei prossimi mesi, ha superato il vaglio della commissione grazie ai voti favorevoli di Fratelli d’Italia, Lega, Forza Italia e delle Autonomie. Contraria invece la sinistra: Partito Democratico, Movimento Cinque Stelle e Alleanza Verdi Sinistra. Quelli che, insomma, hanno sempre beneficiato del sistema compromissorio. O meglio degli inciuci di palazzo. Inciuci a cui, secondo il ministro delle Riforme Elisabetta Casellati, “presto metteremo la parola fine”. Si è astenuta Italia Viva. L’approvazione ha ricevuto risposte contrastanti. Fratelli d’Italia ha accolto senza dubbio con grande favore la notizia: “Il voto della commissione Affari Costituzionali sul ddl Premierato è andato oltre la maggioranza – hanno detto i membri della commissione del partito di Giorgia Meloni – Si è fatto un grande ed approfondito lavoro sotto la guida del Presidente Alberto Balboni: 5 mesi di lavori in commissione, 59 audizioni, 1800 emendamenti, 4 emendamenti del governo che hanno tenuto conto delle necessità di miglioramento emerse dalle audizioni. Sono stati approvati anche alcuni emendamenti delle minoranze ed un emendamento del presidente Pera. Con la votazione del mandato al relatore in commissione si segna un passo fondamentale nel percorso della riforma”. Fin da subito, in effetti, la priorità della maggioranza era di allargare la riforma anche alle istanze della sinistra, in virtù del fatto che si tratta di una manovra di ampio respiro, che riguarda l’intera Nazione e che quindi non può essere chiusa in barriere ideologiche. “Importante – hanno infatti detto i membri di Fratelli d’Italia – che il consenso alla proposta vada oltre il perimetro della coalizione di governo grazie al voto favorevole del gruppo autonomie e con l’astensione di Italia Viva”.

Sinistra ideologicamente lontana

Ma nonostante le apertura della maggioranza, la sinistra resta ideologicamente lontana dal dialogo. Per Alessandra Maiorino, senatrice del Movimento Cinque Stelle, si tratta di “una carica esplosiva piazzata sotto la nostra architettura costituzionale”, asserendo poi che il premierato “è pericoloso e noi ne denunceremo la pericolosità in ogni sede”. Ma proprio i segnali positivi di cui parlavano i senatori di Fratelli d’Italia smentiscono le tesi della sinistra e smascherano le sue reali intenzioni: chiudere ideologicamente ogni apertura a una riforma che potrebbe cambiare in meglio l’Italia per il solo fatto di non voler perdere la possibilità di arrivare al governo anche senza vincere le elezioni. Come fatto in passato, d’altronde. “C’è chi ci accusa – ha detto Alberto Balboni, presidente della commissione – di fare una riforma che accentra troppo in una sola persona il potere, il voto a favore delle Autonomie smentisce queste accuse per il solo nome del gruppo”.

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