Processo Askatasuna, il pm: “Professionisti della violenza”

16 militanti del centro sociale torinese sono accusati di associazione a delinquere: “Ci sono molte similitudini tra i loro comportamenti e quelli dei mafiosi”

“Le violenze sono l’elemento fondamentale del loro sodalizio”. Inizia così la requisitoria del pubblico ministero Manuela Pedrotta nel processo ai facinorosi del centro sociale Askatasuna di Torino che il sindaco Lo Russo vorrebbe legalizzare in quanto “bene comune”. Tra gli imputati, 16 sono accusati di associazione a delinquere, tra cui gli storici militanti Giorgio Rossetto (chiesti 7 anni di carcere), Andrea Bonadonna (4 anni) e Umberto Raviola (7 anni). Alla fine il pm chiederà la condanna di 26 imputati, per un totale di circa 88 anni di carcere: “associazione per delinquere che ha la finalità di commettere reati con l’uso della violenza, per contrastare i portatori di ideologie diverse o quelli che il sodalizio ritiene essere avversari”. Le accuse vanno dall’associazione per delinquere alla violenza aggravata a pubblico ufficiale, fino alla rapina e all’estorsione. Davanti ad un’aula gremita, tramite i social i vertici di Askatasuna hanno convocato in tribunale quanti più militanti possibili, Pedrotta è partita con una premessa: “Non è intenzione della Procura criminalizzare il dissenso, colpire chi manifesta idee diverse, agisce quando ci sono ipotesi di reato: e quando c’è l’uso di violenza, contro cose o persone, ci sono”. E aggiunge: “Tutti gli associati sono militanti di Askatasuna, ma non è vero il contrario: non tutti i militanti del centro sociale fanno parte dell’associazione”.

La ricostruzione del pm copre un ampio arco temporale e diversi episodi verificatisi dal 2011 ad oggi contro il cantiere Tav (protesta contro l’alta velocità usata come espediente per compiere violenze e cercare visibilità) e i cortei contro il G7: “Quante volte gli imputati dicono: dobbiamo restare sotto il cappello del movimento No Tav perché fatto anche da tante persone perbene? Ci sono anche i cattolici: ma che c’entrano con Askatasuna? Servono, come i giovani No Tav, anche se, dicono nelle intercettazioni, non hanno coraggio, perché si tirano indietro quando c’è la lotta, e non vogliono pagare il prezzo. Io vedo un solo prezzo: quella che per loro è repressione, e che io chiamo giustizia – afferma Pedrotta – Loro, gli imputati, sono dei professionisti della violenza. Insomma, insiste la Procura, siamo di fronte a “un gruppo ristretto” che usa “travisamenti e armi, come pietre, sassi, fionde”. Ci sarebbero anche “le bombe, non quelle che tirano ma quelle che si fanno, e qui c’è la loro idea di droga” – conclude il pm – menano “gli spacciatori sotto casa, che danno fastidio, non quelli da cui se la procurano”. Come associazione, Askatasuna aveva a disposizione anche i profitti delle attività organizzate in corso Regina Margherita: “Queste risorse servivano anche per finanziare le violenze. Vedo molte similitudini tra i comportamenti dei mafiosi e quelli degli imputati. Danno i soldi ai familiari dei detenuti a loro vicini, proprio come gli associati mafiosi”. Nel mentre i militanti trasformano l’aula di tribunale in un centro sociale: schiamazzi durante la requisitoria del pm e un ragazzo si sdraia per terra e si mette a dormire (il tutto accompagnato dall’immancabile “Bella ciao”), tanto che il presidente del collegio, Federica Bompieri, che già aveva richiamato il pubblico, deve allontanare dall’aula 4 persone: “Durante tutto il dibattimento — spiega Pedrotta — c’è stato un atteggiamento per dileggiare e ridere del pubblico ministero: forse faccio ridere io, ma non deve far ridere quel che è successo e sta succedendo in Val Susa e in città”. 

“Lo Russo rinunci al dialogo con gli occupanti”

La senatrice di Fratelli d’Italia, Paola Ambrogio pone quindi un quesito in attesa di una presa di posizione di Lo Russo: “Mi chiedo se a questo punto non debba essere la stessa Procura a distogliere il sindaco di Torino dal suo folle proposito. Da politica, ma ancor più da cittadina, faccio davvero fatica a immaginarmi un primo cittadino che stringe accordi, programmi e patti con dei delinquenti. Sarebbe davvero surreale, per questo chiediamo a Lo Russo di fermarsi immediatamente. Non ci può essere spazio per la legittimazione, si rischia di finire su un terreno molto scivoloso, oltre che pericoloso”. 

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Alessandro Guidolin
Alessandro Guidolin
Classe 1997, piemontese trapiantato a Roma. Laureato in giurisprudenza, appassionato di politica e comunicazione. “Crederci sempre arrendersi mai”

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