L’ennesima tragedia collegata al una challenge online, che vede la morte assurda di una bambina di 10 anni, ci porta di nuovo a discutere dei pericoli a cui sono soggetti i minori nell’uso dei social network. L’uso sempre più frequente di smartphone e dispositivi connessi alla rete da parte di bambini e ragazzi è un fenomeno che sta comportando cambiamenti epocali nell’educazione dei più piccoli, soprattutto dopo l’emergenza coronavirus, che ha costretto in casa bambini ed adolescenti, cambiando le loro abitudini, e vedendoli utilizzare maggiormente i dispositivi elettronici, con tutti i rischi connessi soprattutto per i più piccoli.
Ce ne eravamo occupati tempo fa, quando a seguito della morte suicida di un bambino di Napoli, lanciatosi nel vuoto, si ipotizzava per una challenge sui social, ci eravamo chiesti se questo fenomeno non stesse diventando preoccupante, da non sottovalutare, ma anzi da affrontare immediatamente negli ambiti competenti.
Esistono delle normative europee per rendere sicuri i giocattoli proprio perchè un bambino è ovviamente più esposto al rischio di farsi male da solo. E allora perchè non imporre rigide regole di sicurezza nell’utilizzo dei social network? visto che si accorcia sempre di più l’eta di utenti che usufruiscono di questo servizio?
I social network, specie alcuni, sono pieni di bambini. Ma chi li protegge? Da anni giriamo intorno allo stesso punto e alla stessa domanda. Se quella bimba palermitana di dieci anni si è chiusa in bagno per una blackout challenge da pubblicare su TikTok (chissà se solo lì) e ha finito per strangolarsi con la cintura di un accappatoio fino a precipitare in morte cerebrale c’è stato tutto un percorso, fino a quel momento, costellato di responsabilità, lacune e malintesi.
La Procura di Palermo, che indaga sulla morte della bambina dopo avere partecipato a una sfida su Tik Tok, ha avviato una serie di verifiche sui social media usati dalla piccola vittima, ed ha poca importanza che al momento non si abbia notizia che esista una challenge che invita a stringersi al collo una cintura per vedere quanto si resiste, come si è affrettata a dichiarare il colosso cinese Tik Tok.
Non ha nessuna importanza perchè il reale pericolo sono questi luoghi virtuali incontrollati, di cui non sappiamo quasi nulla, in cui ragazzi, adulti e bambini possono interagire in vere e proprie chat a margine di un video (come su Tik Tok) o su un gioco online. Ed è proprio lì che possono annidarsi psicopatici, pedofili o “semplici” ragazzi disturbati che, per fare una bravata, trascinano gli utenti più deboli (bambini) in giochi pericolosi e sfide assurde, che troppo spesso si sono concluse in tragedie come questa.
E lasciamo perdere i maestrini di bufale.net che, anche in questo caso, (come nel bambino di Napoli che si gettò nel vuoto) si affrettano a smentire dell’esistenza di challenge pericolose. I soliti asini raffigurati bene dal quel detto: «Quando il dito indica la luna lo stolto guarda il dito».
Sarebbe utile sapere dove “smentire dell’esistenza di challenge pericolose” trova riscontro questa affermazione. – il maestrino
Carissimi,
invocare la cautela nell’accostamento delle BlackOut Challenge al tragico episodio della bambina di Napoli servirà forse ad un asfittico esercizio sulla verità (ed è tutto da vedere perchè la procura sta ancora indagando) ma non sposterà di un millimetro la realtà delle cose. L’uso del web da parte dei minori (aumentato sensibilmente con l’arrivo della pandemia) si sta rilevando giorno dopo giorno una seria minaccia per i più piccoli. Che siano le famose Challange o che siano semplicemente isolati malintenzionati, il web rappresenta un terreno minato, dove non esistono controlli. Sono sempre più frequenti episodi di autolesionismo da parte di minori e quasi sempre (vedi anche il caso del bambino che si è impiccato proprio ieri a Bari) le procure, in base ai dati forniti dai genitori perquisiscono i dispositivi elettronici delle giovani vittime indagando in quella direzione.
E di fronte ad una situazione che a questo punto merita assolutamente di essere affrontata nelle sedi competenti, stare lì a dire se quella è “una zuppa oppure pan bagnato” mi sembra un inutile esercizio retorico, che non cambia affatto la sostanza, ma anzi ottiene il risultato di invitare ad abbassare la guardia.