Quello strano silenzio della Cgil su Elkann e Stellantis

Il rifiuto di John Elkann di presentarsi in Parlamento per riferire riguardo la gestione dei fondi pubblici di cui la sua Stellantis ha beneficiato negli anni (difficile fare calcoli precisi, ma siamo nell’ordine dei miliardi), ha trovato la contrarietà, più o meno netta, di tutte le forze politiche. A cominciare da Giorgia Meloni, che a Porta a Porta ha spiegato che il rifiuto del Parlamento, in attesa, come da lui spiegato, del tavolo di confronto con il Governo, simboleggia che all’erede della famiglia Agnelli “sfuggano dei fondamentali della Repubblica Italiana”, in quanto audizione in Parlamento e confronto con il Governo “sono due cose completamente diverse”: questo perché “una non esclude affatto l’altro” e anche perché evitare il Parlamento significa anche evitare i rappresentati del popolo italiano. Inoltre, gli ultimi accordi con Stellantis non hanno fruttato granché: di fronte al contributo pubblico, ha detto la premier, “si proponevano dei piani industriali che diminuivano l’occupazione”. Ma anche la sinistra ha denunciato, con toni forse meno aspri. Ma il più duro dall’opposizione è stato Carlo Calenda, che già a gennaio non le mandò a dire ai colleghi dem: “C’è stato un effetto Repubblica sulla sinistra italiana dopo l’acquisto degli Elkann, perché Schlein e il sindacato italiano non parlano più di Stellantis”.

La condanna di Fratelli d’Italia

D’altro canto, quando l’Ad di Stellantis, Carlos Tavares, era comparso nelle commissioni Attività produttive della Camera e Industria del Senato proprio sulla crisi del gruppo poche settimane prima, non aveva fatto una bellissima figura. “I sussidi non sono per noi ma per i cittadini che così possono permettersi di comprare le nostre vetture” aveva esordito, chiedendo allo Stato, in pratica, altre risorse perché, a quanto pare, quelle già elargite non sono bastate. A quanto pare sono carenti piano di sviluppo e di produttività: sono circa 12mila i lavoratori licenziati negli ultimi tre anni e pretendere altre risorse in cambio di chissà quanti altri posti di lavoro persi, non sembra essere una soluzione contemplabile. E tutto l’arco costituzionale, chi più chi meno, sembra essere d’accordo su questo. Da Fratelli d’Italia la condanna al comportamento di Elkann è stata veloce e unanime: “È gravissimo che John Elkann non voglia venire a riferire in Parlamento, anche perché, fino a prova contraria, la vicenda Stellantis riguarda la tradizione dell’automotive italiano. È sconcertante che l’erede di chi è stato molto bravo a socializzare le perdite e privatizzare gli utili della Fiat snobbi il Parlamento” ha detto Tommaso Foti, capogruppo di fratelli d’Italia alla Camera, mentre per il collega Gianluca Caramanna, capogruppo del partito in commissione Attività produttive, “il no di John Elkann all’audizione in Parlamento – come chiesto più volte perché fondamentale prima di aprire qualsiasi tavolo di confronto – non è solo una mancanza di rispetto nei confronti di una istituzione fondante dello Stato, ma è anche uno schiaffo ai cittadini e lavoratori che da quella istituzione sono rappresentati”.

Come cambiano le cose

Se si spulcia però sulla sezione comunicati della Cgil, sul suo sito ufficiale, la parola Stellantis è assente tra le ultime pubblicazioni: si pubblicizza un convengo a Milano sull’“intelligenza del lavoro”, si protesta contro la gestione del servizio sanitario nazionale, contro il DDL sicurezza e contro la legge di Bilancio, si parla di gioco d’azzardo, si annuncia la partecipazione del sindacato a una manifestazione pacifista e si racconta dell’incontro tra Landini e l’ambasciatrice palestinese. E che cambio di paradigma, allora: dalla galanteria dell’Avvocato al menefreghismo del suo erede; dal sindacato degli operai al timore di dire qualcosa fuori posto.

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