Nelle ultime ore, quel campo largo che, sull’esempio della sinistra radicale francese di Mélenchon, sembrava essere sul punto di riunirsi a suon di “Bella Ciao” e di pastasciutte antifasciste, ora sembra piuttosto litigare su ogni argomento. Al di là della loro consueta quanto fallimentare, nei temi e dietro le urne, unione anti-destra, i partiti della sinistra italiana non riescono più ad andare d’accordo: mai l’hanno fatto in politica estera, ma ora la spaccatura si allarga su tanti altri temi, alcuni dei quali potevano essere considerati dei capisaldi del campo largo, come il salario minimo, i referendum. E adesso anche sulla questione delle nomine del Consiglio d’amministrazione della Rai.
Spaccati, di nuovo
Da mesi, la cantilena sulla Tv di Stato è sempre la stessa: “la destra ha lottizzato la Rai, ha creato “Tele-Meloni”, i tg parlano solo della destra”. Chiacchiere da bar, visto che i dati dicono cose diverse, con la premier che, nel confronto con i capi di governo precedenti, è stata una delle meno presenti in Rai. Se un cambiamento c’è stato, si tratta dell’apertura per una Tv di Stato libera dalla lottizzazione della sinistra, dal monopolio culturale della sinistra che non ha consentito per anni – un esempio su tutti – di parlare di foibe agli italiani. Tuttavia, anche su questo la spaccatura del campo largo si è fatta evidente, in particolare al momento del voto dei nuovi consiglieri Rai. Alla Camera mancavano Pd, Italia Viva e Azione, lo stesso al Senato. Un “Aventino” dem, con sostegno del Terzo Polo, per dimostrare agli italiani che Elly Schlein fa sul serio quando dice di voler liberare la Tv di Stato da questa presunta propaganda governativa. L’accordo delle sinistre, a quanto pare, era boicottare il voto in Parlamento: “Non parteciperemo al voto sul Cda Rai, rispettando l’accordo con le altre opposizioni” aveva annunciato Carlo Calenda, non considerando però che il campo largo, come il mondo, è bello perché è vario: i cugini di Avs e i grillini hanno boicottato il boicottaggio, presentandosi in Aula e ottenendo due posti a Viale Mazzini (alla faccia di Tele-Meloni…). “È una questione di rettitudine morale” dice Calenda scottato. Frustata Schlein: “Chiedete ad altri perché hanno cambiato posizione”, tuona stizzita.
Schlein isolata
L’Aventino è fallito, il campo largo pure, di nuovo. Elly voleva mettere in imbarazzo la destra per corroborare la narrazione di una Rai monopolizzata dal governo, mentre invece non è riuscita neppure a controllare quel campo largo di cui, in teoria, dovrebbe essere la leader. Grillini e Avs hanno affossato i sogni di Elly e lei, l’italo-svizzera, da paladina del pluralismo in Rai, è diventata l’unica a non avere poltrone nel Cda in Rai. Chissà come l’avrà presa la vecchia guardia del Nazareno, quella che fino a pochi anni fa ha di fatto avuto sempre la meglio a viale Mazzini, riuscendo anche a tenere fuori dagli organi amministrativi della Tv di Stato i partiti di opposizione (è il caso di Fratelli d’Italia, nel 2021, quando era l’unico partito di opposizione al governo Draghi).
Il “contentino”
Non disperate, però: è vero, il nuovo Cda della Rai è l’ennesima riprova che “Tele-Meloni” non esiste, il sogno del campo largo unito sull’Aventino è fallito miseramente, ma il Pd ha ancora qualcosa per consolarsi. Non avrà ottenuto nuovi posti nel Cda Rai, ma il Nazareno può contare undici direzioni, contro le cinque di Fratelli d’Italia, le otto della Lega e le tre di Forza Italia. Altro che Tele-Meloni, dunque: il primo partito di opposizione ha più direzioni Rai dei tre partiti di maggioranza. E tra queste undici direzioni, se ne contano tre in radio. Per le precisione, tre su quattro: Radio Rai, Rai Radio Due e Rai Radio Tre al Pd; solo Rai Radio Uno alla Lega. Può bastare per consolare la sinistra?