Reddito di Cittadinanza. Ecco perchè quella dei 5 stelle è solo pericolosa propaganda.

Sembrerebbe non voler riconoscere alcun limite il Presidente del M5S, Giuseppe Conte, nel suo tour programmatico pro-Reddito di Cittadinanza. Le dichiarazioni mendaci facilmente screditabili e l’atteggiamento di agitatore sociale oltrepassano però quel limite costituzionale che dovrebbe garantire ogni economia comunicativa di un Paese civile. La rivendicazione del M5S di unici difensori delle classi meno abbienti della società attraverso l’introduzione del sussidio di cittadinanza fa da pendant con la dichiarazione, a dir poco fuori luogo, del Vicepremier Lugi di Maio nel 2018, quando affacciato dal Balcone di palazzo Chigi proclamò di “aver abolito la povertà”.

Come giustamente ha ricordato in una recente intervista a Italia Oggi il giuslavorista dell’Università statale di Milano, il Prof. Pietro Ichino, «un sostegno economico per le persone in stato di indigenza, in Italia, esisteva già prima che arrivasse il Movimento5Stelle: si chiamava Reddito di inserimento, o REI. Il M5S non ha fatto altro che aumentarne l’entità e ridurre i requisiti per goderne». Il presidente pentastellato afferma che il Governo Meloni manifesta «la volontà di smantellare il reddito di cittadinanza e di andare contro le persone più bisognose» (intervista su Repubblica del 29 settembre 2022). Basterebbe leggere l’articolo 59 della Legge di bilancio 2023 per capire la demagogia di questa affermazione. Infatti i soldi risparmiati dall’abrogazione nel 2024 del RDC confluiranno in un apposito «fondo per il sostegno alla povertà e l’inclusione attiva». Uno Stato che nella distribuzione di beni e benessere utilizza il criterio dell’uguaglianza (a tutte le persone viene assegnato un “paniere di beni” senza tenere conto le circostanze di partenza che definiscono i reali bisogni del singolo) piuttosto che dell’equità (cioè assegnare in maniera diversa “panieri di beni” tenendo conto delle condizioni di partenza che definiscono i reali bisogni del singolo) commette una grave discriminazione sociale, come insegnano anche grandi filosofi ed economisti come ad esempio Aristotele (cfr. V Libro dell’etica Nicomachea in cui afferma che l’equità è il correttivo concreto della platonica “idea di giustizia”), John Rawls (cfr. La Giustizia come equità) ed Amartya Sen (L’idea di Giustizia).

Assegnare a chi può lavorare e a chi non può lavorare uguale trattamento, sostiene il Presidente del Consiglio Giorgia Meloni, è cifra di un assistenzialismo che non permette l’adeguato sfruttamento di molte risorse materiali e immateriali del Paese. Infatti, assegnare una “quota di cittadinanza” invece di accompagnare o introdurre i cittadini, con un’adeguata formazione di riqualificazione e collocamento, nel mondo del lavoro inceppa il sano movimento dialettico tra offerta e richiesta nel reciproco commercio del mondo del lavoro e delle risorse umane della società. Inoltre non permette alle persone una realizzazione professionale e personale. A questo proposito, in una intervista del 2019, il primo anno di istituzione del Reddito di Cittadinanza, il presidente dell’INPS Tito Boeri, avvisava già che i dati di scoraggiamento al lavoro erano «rilevanti».

“Destinatari” della manovra che vedrà l’abrogazione del Reddito di Cittadinanza nel 2024, a seguito di un periodo transitorio nel 2023 riguarda “unicamente” la platea di abili al lavoro di età compresa tra i 18 e 59 anni, a meno che non abbiano nel proprio nucleo familiare un disabile, un minore o una persona di almeno 60 anni. Sembrerebbe, dunque, che le accuse del M5S non possano trovare fondamento, soprattutto riguardo le affermazioni del Presidente Conte sul fatto che il Governo Meloni voglia «fare cassa sui poveri». Due le stelle polari dietro la decisione del Governo sulle strette al RdC: ridare la giusta dignità alle persone attraverso la concreta possibilità di esercitare il sacrosanto diritto al lavoro e l’accesso alla formazione lavorativa e di riqualificazione professionale grazie al migliore sfruttamento del Fondo Sociale Europeo. Soldi che l’Italia “spreca” non riuscendo a spenderli e che potranno così essere sfruttati per assicurare una formazione retribuita a tutti i percettori del RdC abili al lavoro che nel 2023 continueranno a percepire il sussidio.

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Alfonso D'Amodio
Alfonso D'Amodio
Nato a Napoli il 4 Febbraio 1983 consegue il Dottorato di Ricerca in Filosofia Politica alla Pontificia Università Lateranense. Precedentemente laureatosi alla LUMSA in Lettere, completa il suo percorso con una Laurea Magistrale a Tor Vergata. Specializzato in ontologia del pensiero scientifico, etica dei sistemi di Intelligenza Artificiale, dialogo interculturale e interreligioso e Filosofia Politica è attualmente ricercatore presso l'Area di Ricerca IRAFS sui fondamenti della scienza. Membro dell'Ufficio Studi di Fratelli D'Italia.

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