Il Reddito di Cittadinanza, per fortuna, è oramai alle spalle. Una di quelle misure volute insistentemente dal primo Governo Conte e che, una volta varata, fece esultare di gioia gli esponenti del Movimento Cinque Stelle, con tanto di festeggiamenti dai balconi di Palazzo Chigi urlando: “Abbiamo abolito la povertà”. Il risultato fu che la povertà non è stata abolita, furbetti e truffatori si sono intromessi facilmente all’interno dei meccanismi poco controllati e agevolmente aggirabili della misura. Una misura costata in quattro anni quasi 35 miliardi di euro. Spiccioli rispetto al costo del Superbonus e degli altri bonus edilizi (insieme arrivano a 220 miliardi di euro), ma soltanto perché siamo stati abituati male. 35 miliardi superano il valore della maggior parte delle leggi di Bilancio, giusto per rendere l’idea. E questo spreco di risorse è stato utilizzato per favorire una misura che ha ammazzato il mercato del lavoro, in un periodo ancora più complesso come quello della pandemia.
Continuano a difenderlo
Ma i grillini, a distanza di cinque anni dalla pubblicazione del decreto e a quasi due anni dalla sua eliminazione, continua a difendere a spada tratta il Reddito di Cittadinanza. Lo fanno descrivendolo come una salvezza per le famiglie in povertà, che avrebbe consentito a milioni di persone di salvarsi in un periodo di ingenti difficoltà economiche. Lo hanno sostenuto anche negli ultimi giorni, quando l’apposito comitato scientifico nominato dall’esecutivo ha rilasciato una relazione proprio sul Reddito di Cittadinanza, sui suoi costi e sui suoi effetti, dati e numeri alla mano. Tutto ciò che serve a smontare una narrazione creata ah hoc dai grillini e che continuano a sostenere, anche davanti alle evidenze della suddetta relazione, “parafrasando” ciò che essa contiene. L’accoppiata è con Repubblica e quasi si sostiene che quello del governo sia stato un boomerang, una relazione che ha finito per sostenere la bontà della misura.
Costi elevati e tanti poveri esclusi
Ovviamente non è così. A partire dai suoi elevati costi, di cui abbiamo già parlato, ma che ribadiamo: 35 miliardi di euro dall’aprile del 2019 al dicembre del 2023. La relazione, poi, pur sostenendo che la misura ha aiutato famiglie in povertà assoluta, sottolinea che in realtà è riuscita a coprire soltanto poco meno del 40% di queste. In altre parole, più della metà delle famiglie in povertà assoluta non ha ricevuto il sussidio. E questo per via di una difformità tra i parametri utilizzati dall’esecutivo a trazione grillina e quelli dell’Istat. Oltre a questo, secondo la relazione, la fascia sociale maggiormente interessata dalla misura è stata quella dei “nuclei composti da una persona sola o esclusivamente da adulti”. Non famiglie, insomma, ma persone singole, talvolta anche grandicelli e in grado di sostenere un eventuale posto di lavoro. Ma invece questi, con il complice assenso di chi governava, preferivano piuttosto restarsene comodamente sul divano di casa a sfruttare i soldi prodotti dalla parte attiva della Nazione. Ma non è tutto. Perché, se la misura nasceva con il buono proposito di voler consegnare ai disoccupati un reddito temporaneo nel frattempo della ricerca di un impiego, nella realtà ciò non è quasi mai avvenuto e i posti di lavoro creati sono stati pochissimi, qualche centinaia ogni anno a fronte di milioni di beneficiari. Non è avvenuto per via del fallimento delle politiche attive del Governo Conte: “Nei primi tre anni di gestione – si legge infatti nella relazione – le misure di politica attiva per il lavoro e per l’inclusione sociale risultano limitate dalla debolezza dei servizi dedicati allo scopo e per l’interruzione delle attività intervenute nel corso della pandemia da COVID-19”. In altre parole, non ha funzionato niente. Per questo, l’eliminazione della misura da parte del Governo Meloni ha sancito non solo un bel risparmio sulle casse dello Stato, ma anche una mobilitazione del mercato del lavoro. Non a caso, l’occupazione è aumentata notevolmente nell’ultimo anno e grazie alle altre misure, come il taglio del cuneo fiscale, i redditi hanno conosciuto un notevole balzo in avanti. Così la povertà è riuscita a reggere l’urto dell’inflazione, dando così una forte lezione ai grillini: la povertà non si abolisce per decreto, ma con il lavoro.