Ripensamento sullo stop ai motori termici? L’Europa fanatica rallenta

Di solito i passi indietro non si festeggiano. Stavolta però mettere la retromarcia è la necessità, significherebbe ritornare sulla strada del buon senso dopo anni di ordinaria follia. Pare che l’Unione europea sia vicina quantomeno a riformulare lo stop alla produzione dei motori termici a partire dal 2035. Una di quelle scelte che fu presa in balia di quella deriva ideologica in cui l’Europa si è ritrovata da anni. Ma il ritorno alla concretezza potrebbe avere la meglio.

Sono ormai parecchi gli Stati membri che hanno protestato contro questa misura, che in realtà è solo la punta dell’iceberg. E ora non sembra esserci colore politico che tenga, perché se il governo italiano di Giorgia Meloni ha sempre protestato contro le politiche green così formulate dalla Commissione europea, da mesi hanno iniziato a far sentire la propria voce anche altri governi, anche quelli che hanno sempre sostenuto quella deriva. Su tutti, Francia e Germania: le rispettive industrie risentono del peso e dei vincoli dì Bruxelles, con Berlino che soffre il crollo dell’automotive, i cui lavoratori sono un bacino elettorale non indifferente per i socialisti.

Obiettivo: industria competitiva

Forse non è un caso che la notizia giunga proprio in prossimità delle elezioni tedesche. Ma tant’è: ora proprio tutti sono convinti che bisogna porre rimedio alla deriva di Timmermans. Secondo il settimanale tedesco Der Spiegel, infatti, in Commissione europea sarebbe pronto un documento proprio per calmierare lo stop ai motori termici, aprendosi ad altre possibilità e a quella “neutralità tecnologica” che il governo italiano pone come obiettivo principale, tramite la diversificazione delle fonti di energia. Il documento recita: “Come parte del dialogo, individueremo soluzioni immediate per salvaguardare la capacità dell’industria di investire, guardando a possibili flessibilità per assicurare alla nostra industria di restare competitiva, senza perdere le ambizioni complessive del 2025”. Dunque, è una promessa solenne? Beh, non proprio. È l’inizio di una nuova era? Vedremo. Ma certamente possiamo parlare di un cambio di vedute a cui non si può restare indifferenti.

Ci sarebbero, del resto, tantissime altre materie da esaminare. Quella, ad esempio, delle pesanti sanzioni imposte dalla Ue nel caso in cui un’azienda non rispetta le rigidissime clausole contro l’emissione di anidride carbonica nell’atmosfera. Una di quelle misure che paralizza la produzione e che spaventa gli imprenditori. Sanzioni fino a 15 miliardi di euro, con le aziende europee costrette ad acquistare componenti green dalla Tesl o addirittura dalla Cina: non proprio un bell’esempio di difesa dell’industria nostrana. Anche su questo tema, piccoli spiragli ma ancora nulla di concreto. Bisognerebbe, piuttosto, lasciare fare, raggiungere l’obiettivo della neutralità tecnologica lasciando alle aziende la possibilità di sviluppare proprie e nuove tecnologie. Il che, in teoria, sarebbe in linea con i principi stessi dell’Unione europea, che si ispira a una politica economica liberale e liberista che certamente, con clausole e vessazioni, non sembra rispettare.

Del resto, non sembra facile aprirsi al dialogo con chi è immerso in un vero e proprio fanatismo green. Più si va a sinistra, più i no diventano netti e forti, intransigenti. Questa transizione ecologica (anzi ideologica) s’ha da fare, dicono i progressisti, anche a costo di restare indietro in fatto di competitività. Un ragionamento che a destra, e giustamente, continuano a non accettare.

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