Rischio default ai minimi dal 2008: con Meloni Italia affidabile per gli investitori

Il costo dei Cds a 5 non è mai stato così basso dal 2008. È questa solo l’ultima di grande sfilza di notizie positive che riguardano l’Italia, sopraggiunte negli ultimi mesi. La rinascita economica della nostra Nazione è sotto gli occhi di tutto, i dati parlano chiaro: l’occupazione è al livello più alto di sempre, il Pil cresce più delle stime e più della media europea, la disoccupazione è ai minimi dal 2008, le famiglie a rischio di povertà sono calate, si crede maggiormente nell’Italia e cresce il debito pubblico detenuto proprio dai cittadini italiani, gli export fanno benissimo e permettono alla nostra Nazione di scavalcare grandi economie come quella giapponese. E con l’ultima notizia, quella di Fitto vicepresidente con delega alle riforme e alla Coesione, la Melonomics diventa sempre più realtà.

E quando tutto sembra andare per il meglio, arriva l’ennesima buona notizia, quella dei Cds. Si tratta del credit default swap, ossia il contratto con cui viene a trasferirsi il rischio di credito, uno strumento di copertura del rischio di insolvenza. Quando un investitore acquista uno strumento finanziario di un Paese, ad esempio il Btp italiano, acquista pure un ulteriore contratto con cui un terzo lo protegge dal rischio di insolvenza del Paese. Ovviamente, ciò vuol dire che più è alto il costo dei Cds, più è alto il rischio di insolvenza di quel Paese. Il fatto che l’Italia abbia abbassato così tanto il livello dei costi dei Cds, significa che la nostra Nazione è tornata a essere considerata sicura, un buon investimento su cui puntare.

Il confronto con il 2008

I Cds hanno iniziato la loro discesa da due anni, da quando – non proprio una coincidenza – Giorgia Meloni è arrivata a Palazzo Chigi. Lunedì scorso il punto più basso: il valore dei Cds è stato registrato a 59 punti base, molto vicino al 57 che invece venne registrato nell’ottobre del 2008. Aver raggiunto di nuovo quei livelli è un segnale importantissimo per la Nazione: nel 2008, l’Occidente ancora non aveva conosciuto la grande rescissione, l’Europa non era ancora entrata nella crisi dell’Euro, e figuriamoci quanto lontana era la pandemia da Covid. Non c’erano stati ancora i governi tecnici di Monti, di Gentiloni e di Draghi. Insomma, l’economia mondiale non aveva subito le tante batoste che invece ora le gravano sulle spalle: aver riagganciato quei livelli, in un periodo di stagnazione globale, non può che essere una buona notizia per la nostra Nazione.

E c’è di più: il rischio di default dell’Italia non è mai stato così basso dal 2007. Dunque, se nell’ultimo decennio il livello di questi valori era schizzato alle stelle, insieme ad esempio alla crescita dello spread da Btp italiani a 10 anni e Bund tedeschi con uguale scadenza, ora invece le cose sono cambiate: non è più l’Italia dell’austerità e dell’incertezza, ma l’Italia che ha saputo dare stabilità al suo asset produttivo, economico e finanziario, con un governo che ha ridato credibilità alla Nazione e ha riattratto gli investimenti. Non è un caso, dunque, se lo spread è ai minimi da mesi, se il rischio di insolvenza è basso e se le agenzie di rating stanno rivalutando l’affidabilità dell’Italia.

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