In queste giornate in cui ancora appare incerta la questione dei rimborsi ai risparmiatori delle banche andate in default, mentre molti aspettano con ansia quel vento di cambiamento che tutti ci auguriamo, e mentre altri esigono una risposta decisa sull’identità della manina che ha concesso quel tanto discusso condono concesso a Banche e organi di Controllo, scoperto dall’ex Senatore Augello e inserito (forse per sbaglio) nella prima bozza della norma sui rimborsi, merita ricordare la recente nomina da parte del Governo del Cambiamento di Alessandro Rivera alla direzione generale del ministero dell’Economia e delle Finanze guidato da Giovanni Tria. Perché ricordarlo? Perchè proprio Rivera ha lasciato ben visibili le sue impronte sulle tristi vicende che hanno riguardato le banche andate in default: il decreto di risoluzione di Banca Etruria e delle altre tre coinvolte.
In Italia si sa, si dimentica troppo facilmente, eppure a volte occorrerebbe avere la memoria più salda, soprattutto quando, da tristi vicende, sarebbe opportuno trarne il giusto insegnamento. Allora come oggi Rivera guidava la direzione Sistema bancario e finanziario del ministero del Tesoro.
Rivera è stato infatti quel dirigente che ha seguito e gestito, tenendo i rapporti con la commissione europea, tutte le drammatiche crisi bancarie di questi anni. Da Mps al decreto di risoluzione di Banca Etruria, CariFerrara, CariChieti e Banca Marche, tristemente famoso per aver fatto perdere in un attimo centinaia di milioni di euro ai risparmiatori. Un anno dopo l’azzeramento di 430mila risparmiatori, come Associazione Vittime del Salvabanche presentammo al procuratore capo di Arezzo un esposto che chiede la revocatoria della cessione di 302 milioni di sofferenze alla società Fonspa, alla cui guida si sono succedute personalità eccellenti, come l’ex Bce Lorenzo Bini Smaghi. Fonspa si aggiudicò quel pacchetto di prestiti deteriorati, solo cinque giorni prima della risoluzione dell’Etruria, di Banca Marche, di Carichieti e di Cariferrara, che poi portò all’azzeramento di azioni e obbligazioni subordinate.
Nell’esposto spiegammo come “la svalutazione delle sofferenze cedute fu pari all’86% mentre quella in sede di risoluzione fu del 78% e Banca d’Italia, al momento del contratto con Fonspa, conosceva già entrambi i valori, ma procedette comunque alla cessione, creando una perdita di circa 70 milioni”. In sintesi subito prima del crac di Banca Etruria, Credito Fondiario (ex Fonspa) chiudeva l’affare del decennio. Con l’ok di Bankitalia.
Come è facile immaginare l’operazione creò alla banca un’ulteriore ed inutile perdita di circa 70 milioni di euro, cifra che avrebbe permesso di rimborsare almeno tutti gli obbligazionisti. Per capirsi è come se si vendesse oggi un immobile a 3 milioni sapendo già che dopo 5 giorni si sarebbe potuto cederlo al valore di 5 milioni.
Sicuramente il Credito Fondiario fece un ottimo affare con quel pacchetto, ma non è questo quel che conta. Dagli atti della commissione si capisce che fino a quel giorno la Ue era orientata a chiedere all’Italia nel decreto di risoluzione per Etruria e le altre una svalutazione dei crediti che oscillava fra il 20 e il 22% del valore. Questo perché analoghe percentuali erano state chieste all’interno della comunità ad altri paesi che avevano avuto crisi bancarie, dalla Irlanda alla Spagna fino al più recente caso della Slovenia. Sembra proprio però che qualcuno dal Tesoro italiano, informò la commissione che l’ultima operazione fatta sul mercato in Italia era avvenuta a una percentuale di gran lunga inferiore (il 14,7%). E nel via libera della commissione si cita proprio il caso Credito Fondiario. Così quel 20-22% diventa facendo media con il nuovo prezzo di mercato esattamente il 17,5% che sarà poi contenuto nel decreto di risoluzione del governo italiano. Tutta colpa di quel primo della classe che ha fatto la soffiata al consulente della commissione.