Ci vuole una gran faccia tosta a polemizzare anche quest’oggi contro il Governo Meloni. La notizia è clamorosa: dopo decenni di pantano, il raddoppio della ferrovia Roma-Pescara non è più una meta irraggiungibile. Ci sono risorse e tempi, quelli che occorrono per dare al Lazio e all’Abruzzo una infrastruttura attesa da circa mezzo secolo. E questo è possibile perché qualcuno (leggasi il Governo Meloni) ha caparbiamente lottato e lavorato per far ciò che i grandi saggi definivano «folle»: modificare il Pnrr. Qualcuno di voi ricorderà quel periodo. E ricorderà anche le opposizioni impegnate a osteggiare i propositi di modifica, unite nel difendere con saccenza un Piano che – guarda caso – è stato scritto proprio da loro quando erano al governo.
Ce l’hanno presentato come sacro e intoccabile, neanche fosse la Suprema Carta: in realtà si è rivelato abbastanza raffazzonato e non certo privo di criticità. «Il Pnrr è la nostra stella polare, non si può rinegoziare», diceva l’allora segretario del Pd, Enrico Letta. Ebbene: se il Piano fosse rimasto tale e quale, il raddoppio della Roma-Pescara sarebbe senza dubbio deragliato. Strada facendo ci si è infatti resi conto che l’opera in questione, prevista e finanziata con 620 milioni a valere sul Pnrr, non era realizzabile entro il 30 giugno 2026, data di scadenza per il completamento dei progetti nazionali. Superare la deadline cosa avrebbe comportato? Lo ha spiegato oggi la premier Meloni: le risorse sarebbero andate perse e la ferrovia Roma-Pescara sarebbe finita su un binario morto. «Incompiuta», come vengono definite le opere che rimangono sospese, a metà. Insomma, non proprio un bel servizio reso ai territori e ai loro abitanti.
Fortuna vuole che qualcuno non si sia arreso (leggasi ancora il Governo Meloni) e abbia lavorato con serietà trovando una soluzione che salvasse il progetto. Senza mai farsi scoraggiare da chi tifava contro l’Italia, preconizzando un ineluttabile disastro. Così l’opera è stata stralciata dal Pnrr e sono state individuate fonti di finanziamento alternative, e addirittura maggiori rispetto a quelle previste in precedenza. Oggi sono state assegnate: 720 milioni di euro dalla quota statale del Fondo di Sviluppo e Coesione 2021-2027. E allora, forse, le opposizioni dovrebbero avere la decenza di tacere almeno per un giorno. E invece no: «Un bel tacer non fu mai scritto».
Dicono si tratti solo di una messinscena in vista del voto in Abruzzo. Il più maldestro è senza dubbio il leader grillino Giuseppe Conte: campione di mirabolanti quanto inverosimili proclami (vi ricordate la storia delle ristrutturazioni «gratis», vero?), derubrica lo stanziamento dei fondi per la Roma-Pescara a mera «promessa elettorale». Fingendo di dimenticare che il progetto di modifica del Piano arriva da ben più lontano. Non è certo questione di oggi o di ieri. Non è figlio del calcolo politico né di spicciole contingenze. È un impegno. È scritto nero su bianco nel programma con cui Fratelli d’Italia si è presentato agli italiani. Ed era settembre 2022.