Il caso del ministro Sangiuliano, che piaccia o no, ci offre una lezione che la destra italiana farebbe bene a non dimenticare: in politica, come nella vita, è sempre meglio essere diffidenti che ingenui. A certi livelli, la buona fede è un lusso che nessuno si può permettere, se non vuole finire con le ossa rotte. Ma questo, se mi è concesso, è solo l’inizio di una riflessione ben più ampia.
Anzitutto l’episodio conferma, se mai ce ne fosse ancora bisogno, la doppia morale della sinistra, sempre bravissima a fare la morale agli altri, a puntare il dito contro le famiglie altrui, salvo poi sbavare quando si tratta delle famiglie dei Clinton o degli Obama, o chiudere gli occhi se a portare in Parlamento le mogli sono Franceschini o Fratoianni: falce e anello (nuziale) e il moralismo svanisce. Un contorsionismo ideologico che possiamo applicare a qualsiasi ambito, financo alle idee: la sinistra è per la libertà d’opinione, purché coincida con la loro.
Questo ci porta ad un punto più urgente, ed è l’informazione. Da troppo tempo la destra italiana accetta di giocare una partita in cui l’arbitro non solo fischia contro, si inventa anche le regole del gioco. È venuto il momento di costruire un proprio campo, di scegliere le proprie regole. Perché è inutile nasconderselo: tutti i maggiori media italiani si sono uniformati a un’unica narrazione, un unico spartito che suona sempre la stessa musica. Che si parli di economia, di diritti civili, di ambiente, è sempre la stessa solfa: tutto deve piegarsi alle esigenze del pensiero unico globalista, che veste i panni del progressismo ma difende gli interessi di chi ha già le tasche piene e vuole riempirle ancora di più. Ogni resistenza viene immediatamente catalogata come arretratezza, come “estrema destra” o addirittura fascismo, e chi si oppone è spinto ai margini, trattato come un appestato.
La verità, che ormai è sotto gli occhi di tutti, è che la destra non può più permettersi di rimanere prigioniera di questo gioco al massacro. Occorre mettere in piedi un’alternativa, costruire un binario nuovo, autonomo, che corra parallelo e indipendente rispetto a quello dominante. Non basta più la presenza sui social, non basta più qualche comparsa qua e là in casa d’altri. Anche i social media, con i loro continui mutamenti, stanno diventando un territorio sempre più insidioso per chi non si allinea. Serve un investimento serio, massiccio, in un vero e proprio ecosistema dell’informazione: giornali, televisioni, video, piattaforme online e offline, un network che raccolga le voci di chi non accetta di conformarsi al pensiero unico.
Guardiamo a quello che succede negli Stati Uniti, dove la TTMG (Trump Media & Technology Group) ha lanciato la trasmissione di canali tv sul social Truth, e il cui business plan si fonda sulla multicanalità; lo stesso sta facendo Elon Musk con X. Poi ci sono Real America’s Voice di Steve Bannon e il Tucker Carlson Network: realtà che fungono da product placement perfetto per aziende, prodotti e servizi che incarnano valori tradizionali e rifiutano gli standard woke. Un esempio lampante dell’appeal commerciale e della forza di mobilitazione di questi network alternativi sono le immagini del talk pubblico tenuto qualche sera fa in Arizona dai due opinion maker conservatori Tucker Carlson e Russell Brand, accolti da un pubblico di 18mila persone accorse per ascoltarli. Questi sono modelli che dovrebbero far riflettere e che la destra italiana potrebbe adattare al nostro contesto.
Un simile progetto, se realizzato con serietà e convinzione, non solo creerebbe uno spazio di libertà e di resistenza culturale, ma potrebbe attrarre investitori e imprenditori stanchi di subire il monopolio ideologico dei grandi gruppi mediatici. Penso a tante piccole e medie imprese italiane, al Made in Italy che ogni giorno deve vedersela con i colossi globali, con le multinazionali del fast fashion e non solo. Un network che difenda i loro interessi, che racconti le loro storie, avrebbe un potenziale enorme, anche dal punto di vista commerciale.
Perché è chiaro che un progetto del genere avrebbe il pregio di offrire una sponda anche all’azione di governo, di evitare che essa sia costantemente condizionata dalla sinistra e dai poteri che la sostengono. Non si tratta di un’operazione di facciata, ma di una scelta strategica: puntare su un’informazione che sappia raccontare una visione del mondo diversa, che sfugga al conformismo imperante e che possa dettare l’agenda politica e culturale, anziché subirla.
Dunque, la strada è una e una soltanto: alzare lo sguardo, puntare lontano, non accontentarsi di reagire alle contingenze, ma pensare in grande e a lungo termine. Non è solo una questione di mezzi, ma di visione: capire che l’informazione è il terreno su cui si gioca la partita decisiva, e che su quel terreno bisogna scendere preparati, con una strategia chiara e un progetto ambizioso. Il tempo delle mezze misure è finito: non dobbiamo limitarci a pensare di contrastare il mainstream, dobbiamo agire per diventare il mainstream.
Caro Alessandro, tutto vero, ma nel caso in questione il problema è molto più semplice. Un Ministro a mio modo di veder può avere tutte le amanti che vuole, ma non può mentire. Il Sig. Sangiuliano doveva dimettersi perchè ha mentito, al suo Primo Ministro ma soprattutto agli Italiani.
Questa è la prima morale che dobbiamo trarre, indipendentemente dai tentativi di sciacallaggio della sinistra. E cioè che non basta avere un buon curriculum e buone referenze politiche per fare il Ministro, bisogna anche avere una statura morale da Statista.
Credo che Giorgia lo sappia. Ma, come diceva un cantautore italiano, “chi guarda in fondo al suo cuore sa bene quello che vuole, e prende quello che c’è”.
Voglio essere ottimista, la seconda scelta, il nuovo Ministro della Cultura, mi semra già di una statura diversa.
Con affetto
Alessandro