Di Diego Tagliabue
Premetto che l’ultima edizione di Sanremo, che ho guardato, risale al 1998. Conducevano Raimondo Vianello, Veronica Pivetti ed Eva Herzigová.
La conduzione fu uno spasso e fu l’unico motivo, che mi spinse a guardare il carrozzone sanremese.
Da appassionato di musica, che per me parte dal blues (vero, non zuccheroso), attraversa il rock e approda al metal, non seguo il Festival di Sanremo, ma mi capita di leggere articoli su riviste specializzate.
Devo correggere: riviste che asseriscono di essere specializzate.
È il caso del famoso magazine musicale Rolling Stone, i cui “giornalisti” Alberto Piccinini e Giovanni Robertini ci offrono un dialogo sul carlocontismo [sic!].
Ovviamente, i due fanno riferimento al conduttore Carlo Conti, del quale ho un ricordo abbastanza datato: presentava Videomusic, il canale italiano concorrente di MTV, all’epoca di proprietà di Cecchi Gori, quindi dell’imprenditore “bravo”, amico e sostenitore del PCI-PDS-ULIVO-DS-UNIONE-PD. Mica il Berlusca con la “platitude” dei cinepanettoni!
Oggi Carlo Conti sarebbe il fondatore di una corrente filosofica/ideologica, ovviamente di estrema destra? Cominciamo bene!
Vediamo un po’ le tesi salienti di quell’articolo.
Già l’apertura fa capire, in che direzione si stia andando.
Sopra il titolo leggiamo Boomer Gang (Sanremo Edition). Evidentemente ai due autori piacciono le baby gang, piene di “risorse”, mentre chi non le apprezza sarebbe un “boomer”, quindi “retrivo” e “reazionario”, capo di una “gang” altrettanto “retriva” e “reazionaria”.
Il titolo fa temere il peggio al lettore: Non c’è niente da ridere, a Sanremo 2025 ha vinto il nostro passato peggiore.
Questa espressione è, solitamente, un’allusione al ventennio fascista. Ha forse vinto Mario Castellacci von “Le donne non ci vogliono più bene”?
I due autori dell’articolo intendono persino il passato nazista! Sanremo 2025 sarebbe stato retromania tendente a destra e una Weimar all’amatriciana.
Senza mezzi termini, si passa all’analisi (per modo di dire) del pezzo che ha vinto il Festival.
Spero di sbagliarmi, ma questa Balorda nostalgia di Olly mi spaventa un po’. Più che nostalgia quella dell’ex rugbista genovese è la retromania profetizzata da Simon Reynolds, ovvero la nostalgia di un passato che non si è vissuto […] Un passato immaginato, mitizzato nell’incapacità di immaginare un futuro, scusa ma il filosofo Mark Fisher va citato per forza, ora la smetto.
Ecco che siamo passati “fluidamente” dalla musica all’ideologia, ma quella marxista o neomarxista (oggi falsamente definita “di sinistra liberale”) tanto amata all’autore Giovanni Robertini, il quale cita in due frasi il critico musicale britannico Simon Reynolds e il suo collega (anche un po’ filosofo) Mark Fisher.
Reynolds è famoso per aver integrato la cosiddetta “teoria critica” nella sua critica musicale. La “teoria critica” (kritische Theorie) è il vero nome della Scuola di Francoforte, i cui quattro dogmi principali sono stati i cavalli di battaglia dei sessantottini e degli woke odierni.A questo punto rimando alla sintesi che ho fatto sulla Scuola di Francoforte nel mio ultimo articolo su La Voce del Patriota.
Ovviamente, Reynolds non si è limitato a dichiararsi sostenitore della base di tutto il marxismo occidentale. Genere, razza, sessualità e classe (anche intesa come lotta di classe) sono parti integranti della sua teoria “musicale”.
Per fortuna che sarebbe stato Carlo Conti a fondare il carlocontismo [sic!] a Sanremo 2025!
Anche il secondo “filosofo” e critico musicale citato da Robertini – Mark Fisher (1968 – 2017), noto anche come k-punk – si è riallacciato alla Scuola di Francoforte ed è stato citato dallo stesso Reynolds in quel contesto, ma ha pure analizzato gli effetti del “neoliberismo” sulla musica moderna.
Eh sì, la critica al capitalismo brutto e cattivone non può mancare, sebbene tutti gli artisti di fama mondiale (quasi tutti appartenenti al mondo e alla cultura anglosassoni) abbiano approfittato proprio di quel sistema. Sì, anche prima, durante e dopo Woodstock.
Fisher morì suicida nel 2017, non pubblicò il suo ultimo libro in cantiere, al quale aveva già dato il titolo Comunismo acido.
Continuando la lettura dell’articolo, Robertini ora ci mette farina del suo sacco e si esprime così sul legame tra il vincitore di Sanremo 2025 – Olly – e la tradizione dei cantautori: […] il folklore dei caruggi con le prostitute, lo spleen del mare, ma anche il patriarcato libero in cui il maschio poteva gridare le sue pene d’amore per essere stato lasciato dalla fidanzata senza essere accusato di tossicità.
Il vero nome di Sanremo è – se non erro – festival della canzone italiana. Quindi riallacciarsi al mondo dei cantautori italiani sul palco dell’Ariston è tutt’altro che fuori luogo, ma non per Robertini, che ci mette in guardia dalla natura “patriarcale” di quella tradizione.
Credo che, oggi, persino De André verrebbe considerato reazionario.
Il commento finale di Robertini: Seguimi: come ha vinto Trump se non con una falsa nostalgia, una retromania di America, di un mondo in cui tutti avevano un lavoro e i neri, i gay e gli immigrati stavano al loro posto?
Evidentemente, al “nostro” sono sfuggite quattro cose:
- con Trump i gay (i Village People) sono stati sul palco
- tutta l’industria d’intrattenimento americana si era schierata con Kamala Harris, ma la stragrande maggioranza del popolo americano non ha ascoltato chi ha la villa a Beverly Hills e si presenta come “working class hero” in tanga, e ha votato Trump
- proprio le starlet della musica piatta, commerciale e pompata con l’autotune, le quali fanno parlare di sé più con gli scandali (più o meno costruiti) che con la musica, formano lo zoccolo duro del politicamente corretto made in USA
- chi fa musica vera (e nella provincia americana ce n’è a bizzeffe) si è schierato dalla parte di Trump e dei valori, non di una fantomatica falsa nostalgia.
Se credete che Robertini abbia toccato l’apice (o il fondo) della propaganda neomarxista sessantottina, spacciata per critica musicale, ecco un paio di perle del suo collega Alberto Piccinini.
Se la nostalgia è la benzina del nuovo fascismo, quale mezzo migliore che usare le canzoni di Sanremo per misurare quanto ci manca ancora?La nostalgia (nota anche come Sehnsucht) è la benzina del romanticismo, non del fascismo, caro Piccinini.
Sappiamo benissimo, che per gli adepti della “teoria critica” è tutto fascismo ciò che non è in linea con il pensiero unico. È un’idiozia colossale, ma voi ci credete.
Lo sproloquio continua con “Sospeso tra un passato non realizzato e un futuro irrealizzabile”, è quel che pensava negli anni ’30 lo storico Ernst Bloch del nazismo e dell’uso perverso che Hitler faceva dell’utopia coi suoi seguaci. Make Germany Great Again.
Si continua, quindi, con l’argomento d’autorità, citando uno degli esponenti di spicco del neomarxismo – Ernst Bloch – e alludendo a un Sanremo non soddisfacente per progressisti/neomarxisti come il trampolino di lancio per un nuovo nazifascismo.
Spinto dalla curiosità, sono andato a leggere il testo della canzone di Olly.
Sinceramente, chi ci trova qualcosa di fascista o addirittura di nazista, è povero in spirito.
No, qui calza benissimo una citazione di Giacomo Poretti: Ma allora sei deficiente!
Dopo aver buttato Al Bano e Romina, i Ricchi e Poveri, Umberto Tozzi ed Elon Musk in un unico calderone, Piccinini mette per iscritto il seguente lamento: Diamo un nome all’inganno dei sentimenti, al narcisismo ferito, all’incapacità di uscire dal patriarcato. Invece no: facciamo grande la canzone ancora. Torniamo a cantautori bianchi, maschi, italiani che ci hanno cullato nelle gite in macchina e in tutte le spiagge della penisola, prego prima lei. Facci caso, nei ritornelli di Olly e Lucio Corsi suona lo stesso giro di Do, l’inganno supremo.
Si commenta da solo e, purtroppo, non è satira… quantomeno non è satira volontaria.
A questo punto mi sono chiesto: sto leggendo Rolling Stone o Il Manifesto?
Mi fermo qui con l’analisi di quella dissenteria mentale.
L’articolo purtroppo non si ferma lì. Tono e retorica (se si può definire così) non si discostano dalla falsariga neomarxista.
Immaginate di non sapere cos’è il Festival di Sanremo e di dover farvene un’idea solo sulla base della “expertise” del Rolling Stone sull’edizione 2025.
Probabilmente penserete a una versione italiana di Triumph des Willens (il film di Leni Riefenstahl sul congresso/raduno nazista del 1934 a Norimberga), vi immaginerete un palco nero con decorazioni marziali in filigrana oro e argento, sul quale si canta tutto il repertorio nostalgico – Faccetta Nera e Giovinezza – e le cover di Erika e Die Fahne hoch.
Non è arrivato tra i primi cinque chi ha cantato la poco politicizzata Lili Marleen.
Rimane aperta la domanda: qual è l’intenzione dell’articolo? Fare Sanremo 2026 al Leonkavallo e, così, placare l’ira della sinistra (pseudo)intellettuale?
L’unico dato di fatto è che, chi paragona a fascismo e nazismo l’edizione un po’ meno politicizzata a sinistra di un festival musicale, non sta semplicemente esagerando. Sta cercando di imporre il suo totalitarismo.Il partito ha sempre ragione (Die Partei hat immer Recht) suona come Il duce ha sempre ragione, ma era una canzone ufficiale della DDR.