Scandalo pensioni d’oro ai sindacalisti. Tutti i partiti si compattano contro FDI che vuole abolirle.

Uno dei più scandalosi privilegi oggi esistenti riguarda quello delle pensioni d’oro dei sindacalisti, che possono andare in pensione con un assegno il 30% più alto (in media) rispetto ai comuni lavoratori italiani, a parità di contributi versati all’ Inps. Sul sito web dell’Inps si accede ad una pagina intitolata “Le pensioni dei sindacalisti” da cui emerge come i sindacalisti costituiscano una delle tante “caste” del Paese dei privilegi pensionistici; viene espressamente indicato che essi «hanno regole contributive diverse dagli altri lavoratori perché possono vedersi ugualmente versati i contributi (o addirittura lo stipendio) da enti terzi rispetto al sindacato presso cui prestano effettivamente il proprio lavoro e perché possono, prima di andare in pensione, farsi pagare dalle organizzazioni sindacali incrementi delle proprie pensioni a condizioni molto vantaggiose». A ciò si aggiunge che per i sindacalisti in distacco delle pubbliche amministrazioni è previsto l’istituto della contribuzione aggiuntiva, il cui versamento ha riflessi importanti sul livello della pensione, soprattutto per i dipendenti pubblici che si trovano nel regime misto o in regime retributivo ante “riforma Fornero”; infatti, i periodi di contribuzione aggiuntiva vengono riconosciuti ai fini del calcolo della quota di pensione determinata per le anzianità maturate fino al 1992. L’escamotage per triplicare l’ultimo stipendio consiste nel versare la contribuzione aggiuntiva dovuta al ruolo sindacale nella quota A (che riguarda le occupazioni fisse e continuative) invece che nella quota B (che raccoglie i contributi di chi esercita un ruolo temporaneo e provvisorio). Il loro assegno erogato – in base a questa lecita (ma iniqua e moralmente ingiusta) norma – viene, dunque, calcolato non su base contributiva, bensì su quella retributiva, un sistema che concede a ben 18 mila sindacalisti  un trattamento pensionistico di lusso, tanto più scandaloso ove si consideri che a beneficiare della possibilità di aumentare artificiosamente la retribuzione negli ultimi mesi del mandato per costruire delle pensioni d’oro sta in capo a soggetti, teoricamente, deputati a difendere i diritti dei lavoratori.

A seguito di una sentenza della Corte dei conti che ha condannato tale pratica, l’Inps ha effettuato una serie di controlli su 119 pensioni decorrenti dal 1997 al 2016, da cui risulta che, con l’escamotage di conteggiare i contributi aggiuntivi nella quota A invece che nella quota B, c’è chi ha avuto un incremento compreso tra un minimo del 18,9 per cento e un massimo del 62,5 per cento. Un vero e proprio salasso per il nostro sistema pensionistico, già gravato da una situazione finanziaria talmente difficile da porre a rischio le pensioni delle generazioni dei giovani lavoratori.

Esattamente un anno fa, nel corso di un question time, al Senato, Fratelli d’Italia ha portato all’attenzione del Parlamento e del Governo l’iniquità del trattamento pensionistico di cui godono i sindacalisti. In quella sede, il Ministro Di Maio si assunse ufficialmente l’impegno di intervenire «in maniera risoluta per impedire che questi privilegi vengano mantenuti“, in linea a quanto previsto nel Contratto di Governo, specificando espressamente che «è ora che si ristabilisca che tutti i cittadini sono uguali e devono essere trattati alla stessa maniera». A distanza di un anno in cui nessuna iniziativa è stata presa, lo scorso 18 luglio, si è riproposto un nuovo question time sull’argomento, al quale il ministro Fraccaro ha risposto ribadendo testualmente “la volontà di superare quelli che a tutti gli effetti rappresentano dei privilegi inaccettabili e, quindi, eliminare la disparità di trattamento tra sindacalisti e lavoratori”. Di nuovo belle parole ma niente di fatto.

Ebbene ad oggi l’unico provvedimento esistente sul tema è la proposta di legge di Fratelli d’Italia – a prima firma Meloni – in discussione in commissione Lavoro alla Camera dei deputati che prevede appunto l’abrogazione dei codicilli che consentono il ricalcolo d’oro delle pensioni dei sindacalisti. Basterebbe la sua approvazione per mettere un punto sulla questione.

E, invece, maggioranza e opposizione si compattano pronte a votare l’emendamento 1.2. a firma – guarda caso –  dell’ex sindacalista Epifani, oggi parlamentare del PD (con la sua pensione da 3.400 euro netti) –  che stravolge il testo proposto da Fratelli d’Italia – mantenendo in vita la legge e limitandosi ad attribuire all’Inps il compito di controllare e contrastare eventuali abusi.

Il Parlamento si appresta, dunque, ad approvare un emendamento che salva la legge vergognosa che consente ai sindacalisti di vedere triplicato il calcolo della loro pensione, per la precisione l’emendamento di un sindacalista che difende la sua casta.

Cosa mai potrà fare l’Inps se una norma di legge consente a lor signori di avvalersi del predetto privilegio?  Cosa mai potrà fare l’Inps più di quanto non abbia già fatto denunciando infatti questa assurda disparità di trattamento?

Ci si sarebbe aspettato qualcosa di più da una maggioranza che si dice portatrice del cambiamento, che invece preferisce non pestare i piedi il sindacato, in barba ai 5,6 milioni di pensionati italiani che in questi anni hanno visto decurtate le loro aspettative di pensione.

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