In un momento in cui il fattore tempo riveste un ruolo determinante ci arrivano sempre più segnalazioni di imprenditori “ostacolati” nell’ottenimento dei prestiti previsti dal decreto, succede così che imprenditori piccoli e medi che richiedono il prestito di 25mila euro completamente garantito dallo Stato, si ritrovano infilati in un inferno burocratico fatto di Durc, Durf, verbali di approvazione, ricevute di depositi, autocertificazioni, bilanci provvisori dell’anno precedente.
Per fare un esempio, anche ieri ci è arrivata la lettera di un’istanza rigettata per finanziamenti sotto i 25mila in base all’analisi e alla valutazione della situazione finanziaria del richiedente. Benché si trattasse della richiesta di un finanziamento sotto i 25 mila euro (e quindi garantito al 100 per 100 dallo Stato) la banca ha fatto una valutazione nel merito creditizio.
La realtà è che quello che molte banche stanno facendo ormai da diverse settimane è ‘prendere tempo’ e rendere sfiancante e complicato il tanto sbandierato accesso al credito
Ed i numeri diramati ieri dal Mef, sui risultati ad oggi delle norme sulla liquidità per famiglie e imprese, confermano queste segnalazioni: finchè si tratta di “sospendere” come le moratorie, il meccanismo funziona, ma quando si tratta di “erogare” arrivano i dolori.
A fronte di 175mila richieste al fondo di garanzia per le Pmi sono stati impegnati complessivamente 8,8 miliardi (dati aggiornati al 13 maggio).
In realtà, c’è un motivo perché le banche con le loro circolari interne, spingano i loro funzionari e direttori di filiale a far melina, a traccheggiare più del solito nell’erogare il grano a dispetto della “velocizzazione” espressamente richiesta dal governo e dall’ Abi, l’associazione bancaria italiana. In realtà, le banche stanno evocando, ufficiosamente, appunto, il mitico scudo penale. Sembra infatti che il decreto Liquidità varato l’8 aprile scorso per dare ossigeno alle Pmi presenti nelle sue pieghe lacune che possono sfociare in veri e propri guai per le banche.
In caso di successivo fallimento dell’azienda, con le regole attuali, la “spada di Damocle” è rappresentata dalla revocatoria fallimentare, nonché dalle varie fattispecie penali-fallimentari di bancarotta, non essendo infrequenti, anche in buonafede, i casi di coinvolgimento a titolo di concorso degli istituti di credito nei reati fallimentari dell’imprenditore: in particolare, nei reati di bancarotta fraudolenta preferenziale, di bancarotta semplice per “operazioni di grave imprudenza” o per “ritardata richiesta di fallimento”. A ciò si aggiunga, come spiega Ivo Allegro docente di Economia aziendale citando l’art. 217, n. 4, della legge fallimentare che nel Dl Liquidità, di fatto, non viene derogata “la possibilità per la banca di essere “vittima” di ipotesi di ricorso abusivo al credito oppure, viceversa, di concessione abusiva del credito”. Cioè, il suddetto decreto, fatto assai in fretta (come spesso accade a questo governo) non abroga le norme preesistenti e non esenta le banche dalle solite responsabilità risvolti penali compresi.
Evidente quindi, secondo il direttore generale dell’Abi Giovanni Sabatini, “la necessità di un intervento legislativo per la messa in sicurezza del sistema”. Ossia il famoso scudo penale.
Se poi consideriamo gli altri problemi inerenti al prestito, come il fatto che la disponibilità dei fondi è insufficiente, la situazione ci appare in tutta la sua gravità.