Di sindacati che fanno politica, da quando il Governo Meloni si è insediato, se ne sono visti anche troppi. Sindacati con una struttura a fisarmonica: fanno gli interessi dei lavoratori (funzione tipica del buon sindacato) quando al governo c’è la sinistra; diventano organi politici quando invece a Palazzo Chigi siedono i partiti di centrodestra, configurandosi come grandi poli su cui può fare affidamento la sinistra. Un grande insieme di lavoratori utilizzati a scopi politici, per favorire le cause della famiglia a cui si appartiene per ideologia, facendo uso strumentale del sacrosanto diritto lo sciopero, invocando mobilitazioni generali a cadenza mensile. E la malafede delle proteste emerge da alcuni dati inopinabili: anche se il Governo Meloni ha favorito le classi più deboli (cosa che avrebbe dovuto fare, sulla carta, la sinistra), le proteste e le critiche non si sono fermate. Certo, c’è sempre da migliorare, ma appare chiaro che scioperi e mobilitazioni continue non abbiano altra giustificazione se non quella di creare ad hoc una grande narrazione sul presunto fallimento del Governo di centrodestra.
Il PD ci aveva provato sulla Rai
Ovviamente, il lettore più attento avrà notato i riferimenti alla CGIL e al suo segretario, Maurizio Landini, che senza sosta ha portato avanti una campagna, anche di disinformazione, contro l’esecutivo guidato da Fratelli d’Italia, riportando numeri fuorvianti e minimizzando i risultati ottenuti nell’ultimo anno in fatto di lavoro, di redditi e di potere d’acquisto nelle fasce più povere della popolazione. Ma di Landini si parlerà dopo, perché al centro del dibattito pubblico negli ultimi giorni ci è finito l’Usigrai, il sindacato dei giornalisti di sinistra in Rai, unico incontrastato monopolista del mondo del lavoro nella Tv di Stato per circa quaranta anni, predominio affossato solo negli ultimi mesi dalla nascita del nuovo sindacato Unirai. Anche nel caso dell’Usigrai si ripresenta la stessa situazione descritta in precedenza: un sindacato che proclama uno sciopero per questioni non prettamente lavorative ma politiche, sorte dopo che l’opposizione di sinistra ha voluto accendere i riflettori su una presunta censura in Rai. Uno sciopero che ovviamente poi è stato allargato anche da altre tematiche settoriali, ma il nocciolo è quello: l’Usigrai ha proclamato uno sciopero al fine di favorire le tesi della sinistra che prima erano rimaste inascoltate, probabilmente perché lo stesso PD ha avuto un ruolo principale nell’assoggettamento della Tv di Stato al potere esecutivo grazie a una riforma sottoscritta dall’allora premier dem Matteo Renzi. Ipocrisia fatta notare anche da Giovanni Floris quando, poche ore prima che andasse in scena la protesta dei dem a viale Mazzini lo scorso febbraio, disse a Schlein, ospite del suo programma, che sì, potrebbero esserci delle interferenze governative sulla Tv pubblica, ma certamente il cambiamento non poteva partire da un partito che nasconde al suo interno personaggi che hanno fatto parte degli organigrammi Rai. Ed ecco che la lotta sindacale, allora, si sostituisce a quella politica, che è fallita a causa dell’immagine compromessa e poco credibile del PD.
E la CGIL fa le veci del PD
Allo stesso modo, anche la militanza della CGIL vuole sopperire alla mancanza di credibilità del PD nel settore del lavoro. Loro, i diretti discendenti dei comunisti del PCI, di quelli che lottavano nelle fabbriche di tutta Italia a difesa degli operai, si sono ritrovati a difendere le cause più radical dell’ecologia delirante e dell’immigrazione senza sosta, a scapito del loro storico bacino elettorale. Si sono ritrovati dunque in enorme difficoltà quando il Governo Meloni, formato da tre partiti di centrodestra, ha apportato delle importanti migliorie a difesa del potere d’acquisto dei redditi più bassi favorendo politiche espansive che hanno fruttato mezzo milione di posti di lavoro in più. Anche in questo caso, la CGIL ha dovuto sostituire un PD per nulla credibile, favorendo tuttavia una narrazione distorta: dal palco della manifestazione dei sindacati per il Primo maggio a Monfalcone, il segretario della CGIL Landini ha detto che “oggi noi non siamo una Repubblica fondata sul lavoro, ma siamo una società fondata sullo sfruttamento e sulla precarietà del lavoro”. E fa strano che il segretario del maggiore sindacato di sinistra non conosca i veri numeri sul lavoro, con l’occupazione che finalmente si avvicina alla media europea e la precarietà che cala in favore di contratti a tempo indeterminato. Forse Landini li conosce bene, ma sarà meglio non parlarne.
Che cosa vorrà mai dire nella testa di Landini e “repubblica fondata sul lavoro”?
A suo tempo la formula costituzionale fu un compromesso tra i comunisti, che non volevano la democrazia ma la “dittatura del proletariato” e quindi un enunciato del tipo “repubblica dei lavoratori”, dipendenti, beninteso, ed i partiti demicratici che ponevano giustamente alla base della repubblica i cittadini, lavoratori dipendenti o meno.
Se ora dobbiamo trovare un significato al dettato costituzionale, questo non può che essere che il fondamento della repubblica è il fatto che i cittadini lavorano, e che dal lavoro nasce il benessere e la governabilità della Nazione.
Principio ampiamente disatteso per decenni dai governi guidati dalla sinistra, ma anche da tanti democristiani come Fanfani & co. alla ricerca della “terza via” tra comunismo e liberalismo, che si tradusse in pratica in un abnorme accrescimento del ruolo dello Stato nell’economia: nazionalizzazioni, clientele, sperpero di soldi pubblici.
Il mancato sviluppo del Mezzogiorno è stato in gran parte creato dalla spesa pubblica, che ha generato miseria, facendo in pratica scomparire ogni iniziativa economica priva di finanziamenti pubblici.
Nel Mezzogiorno in pratica sono sopravvissuti solo i soggetti mantenuti dalla spesa pubblica, i soggetti con una economia sana hanno dovuto soccombere per impossibilità di concorrere con chi era mantenuto.
E i sindacati? I sindacati sono solo complici di questo disegno, avendo sempre combattuto l’economia di impresa a favore di “diritti” immaginari dei dipendenti ad essere manetnuti qualunque sia l’economia aziendale.
“Repubblica fondata sul lavoro” nella testa di Landini vuol dire repubblica nella quale ci sono cittadini di serie A, che hanno diritto alla conservazione del posto e dello stipendio, qualunque cosa facciano, e cittadini di serie B, che invece devono pensare da soli a se stessi, ed anzi mantenere con le loro tasse chi ha i “diritti acquisiti” ad essere mantenuto.
Personalmente, penso che sarebbe ora di farla finita con questi privilegi.
Perchè mai se un cittadino firma un contratto con un cliente e poi non ottempera a quanto dovuto il contratto è rescisso, mente un altro (un lavoratore dipendente) firma un contratto e poi decide che non gli piace più, e ha il diritto di non adempiere ai suoi obblighi (“sciopera”) e non può essere licenziato in tronco?
Il contratto di lavoro è un contratto come qualunque altro.
E i sindacati dovrebbero essere solo associazioni di diritto privato, senza alcun ruolo istituzionale pubblico.
Con affetto
Alessandro