Slogan e frasi fatte, così la sinistra si è difesa (male) dopo la figuraccia in Parlamento

Sono volate parole nel ‘dibattito’ (se così può essere definito) che ha seguito l’informativa di Nordio e Piantedosi sul caso Almasri. La sinistra era furibonda, non si è capito bene perché. Ma in molti casi, gli elementi di spicco delle opposizioni, in diretta tv, si sono presentati con un testo già scritto e, facendo finta di non sentire le spiegazioni che i ministri, carte alla mano, hanno dato al Parlamento, hanno inveito contro il governo e contro il presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, rea secondo loro di essere assente in Aula durante il dibattito. Si sono divertiti anche a mostrare dei cartelli con su scritto “Meloni, dove sei?”.

C’è un fossato, una voragine immensa che divide la premier dal resto delle opposizioni. Prima di tutto, bisognerebbe ricordare che, pur essendo destinataria dell’avviso di garanzia più discusso della storia italiana (ricevuto addirittura da un primo ministro, altri due ministri e un sottosegretario, cosa mai accaduta prima), Meloni c’entra con la questione – potremmo dire con una forzatura – di striscio. Lei è la premier e ha giustamente la responsabilità politica di tutto, ma nel dettaglio il rimpatrio del libico è stato gestito dal Viminale, mentre i rapporti con la Cpi sono di competenza del Guardasigilli. Ciò non toglie che sia Nordio sia Piantedosi hanno spiegato a fondo la vicenda, ma comunque protestare così furiosamente per vedere la Meloni, sembra quasi un modo per buttare in caciara un argomento che la sinistra, già prima, ma soprattutto dopo gli interventi dei due ministri, aveva perso. Che poi, a dirla tutta, siamo sicuri che alla sinistra sarebbe convenuto un intervento di Meloni? Il rischio sarebbe stato solo quello di acuire la loro figuraccia.

Così la sinistra disorienta i suoi (pochi) elettori

Andando nel dettaglio delle parole usate, però, si capisce che le opposizioni di questa maggioranza sono tutto fumo e niente arrosto. Parole e slogan, frasi fatte, scritte e preparate già prima di entrare in Aula. Toni buoni magari per fidelizzare chi già è convinto di esprimere il proprio voto a sinistra, ma incapaci di allargare a una nuova platea che, oltre il solito qualunquismo da quattro soldi, vorrebbe affrontare le questioni in modo più ragionato. Magari più istituzionale.

E invece no, la sinistra ha utilizzato slogan anche abbastanza aspri. Schlein ha definito Meloni “presidente del coniglio”. Conte l’ha chiamata “vile”. Renzi l’ha paragonata a un “omino di burro”. Parole che qualificano più chi le pronuncia, perché Meloni, nella sua capacità di entrare in scena e rispondere a tempo debito, sta mandando in tilt la sinistra. Prima era stata accusata di troppa mediaticità quando commentò sui suoi personali profili social l’avviso di garanzia pochi minuti dopo averlo ricevuto; una risposta dovuta in un mondo fatto di mediaticità in cui tacere, per una strana concezione distorta, vorrebbe dire ammettere. Poi è stata accusata di avere paura del confronto, ma chissà cosa sarebbe successo se ieri la premier fosse arrivata in Parlamento. La sinistra avrebbe avuto già la battuta pronta: Meloni l’avrebbe fatto per avere maggiore visibilità e per oscurare gli altri ministri. E allora si decidano, quelli della sinistra: lo diciamo per loro stessi, perché stanno servendo altro consenso alla destra, disorientando e disgustando i loro stessi (e ormai pochi) elettori.

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