Ogni anno, il 25 aprile si trascina appresso un lungo strascico di polemiche, di tensioni, di diatribe sterili e pretestuose. La ricorrenza istituzionale che rammenta al popolo italiano la fine di un tempo buio e folle, segnato da irrazionalismi diffusi e da violenze indicibili, ci provoca, ci stimola a realizzare un pacifico dialogo tra storia e memoria. La narrazione di eventi passati, di luoghi concreti e simbolici, edifica un futuro ancora tutto da decifrare e da costruire, interpellando i cittadini, chiamandoli a rispondere a quesiti interrotti. La guerra, il conflitto, l’odio reciproco, in tutte le sue malsane e variegate forme, continuerà a frenare la maturità della nostra Nazione? Lo scontro evolverà verso un dialogo rispettoso o cederà il passo, nei prossimi decenni, alle deleterie tentazioni del conformismo e dell’indifferenza? La festa della Liberazione è divisiva in quanto fortemente inclusiva. Non si tratta di paradossi o di equilibrismi politici, ma di un’evidenza da mettere a tema, da sottolineare con metodo e convinzione. La dittatura condusse l’Italia sul ciglio del baratro, ma non le riuscì il fendente letale. Il fascismo e il nazismo non prevalsero. Stessa sorte sarebbe toccata alla minaccia comunista. Il Patrio Stivale avrebbe optato per la libertà, per la democrazia, dandosi la carta costituzionale più bella del mondo, riprendendo quel confronto tra destra, sinistra e centro che infiamma gli animi e le piazze, conferendo gusto e sapore alla politica. Lasciarsi alle spalle campanilismi, revisionismi, revanscismi, accuse incrociate gravate da anacronismi diffusi: riconoscersi fratelli, e compagni di viaggio, uniti dal medesimo destino, cioè quello di sostare riconoscenti sotto lo stesso Tricolore.