La levata di scudi dell’intellighenzia di sinistra sull’interpretazione della carta costituzionale ce la potevamo aspettare, il doppiopesismo intellettuale è infatti una costante nell’affrontare ogni argomento che possa ritorcersi contro il principio fondamentale di una pretesa superiorità culturale dem.
Appassiona anche il dibattito che ha occupato in questi giorni esponenti più o meno noti del partito democratico, che tra tweet e lanci di agenzia, hanno voluto dar prova di conoscere gli artt. 60 e 88 della Costituzione, raccontandoci che in una democrazia parlamentare si va al voto ogni 5 anni e che il potere di sciogliere le Camere è prerogativa esclusiva del Presidente della Repubblica.
Da dove ha origine questa accorata arringa sulla natura del parlamentarismo italiano?
Dalle dichiarazioni della Meloni di voler scendere in piazza qualora dovesse nascere l’ennesimo governo dell’inciucio, basate sul richiamo dell’art. 1 della Costituzione per il quale la sovranità appartiene al popolo.
Sono bastate queste esternazioni a indurre istantaneamente le fedeli anime della sinistra a dare alla Meloni della sovversiva, perché intende esercitare il diritto di manifestare il proprio dissenso e della “analfabeta costituzionale”, perché il richiamo all’art. 1 Cost. sarebbe inopportuno, eretico, inconferente e giuridicamente errato.
Senza avere la pretesa di dare lezioni di diritto costituzionale, per onestà intellettuale e dovere di cronaca è un obbligo reagire a delle evidenti panzane giuridiche.
Partendo dal richiamo alla piazza, appaiono ben più sovversive le dichiarazioni di chi vorrebbe che venisse limitato e compresso il diritto di manifestare. L’art. 17 e l’art. 21 della Carta Costituzionale, infatti, garantiscono il diritto di esprimere liberamente il proprio pensiero e il diritto di riunirsi pacificamente.
Sono articoli sistematicamente collocati nel titolo primo della Costituzione, tra i diritti fondamentali dei cittadini, che sicuramente nella loro applicazione possono ben essere oggetto di bilanciamento da parte del legislatore ma che di certo non possono essere sacrificati o compressi perché “scomodi”.
Ricordiamo a noi stessi che l’unico giudice della legittimità dell’eventuale bilanciamento dei diritti costituzionalmente garantiti operato dalla Legge Ordinaria è la Consulta e nessun altro.
Sarebbe inoltre il caso di tenere presente che la previsione e la tutela piena dei diritti fondamentali è stata una conquista fondamentale della nostra storia giuridica repubblicana, appare quanto meno singolare dunque che chi si definisce “democratico” faccia finta di non rammentarlo.
Ma veniamo alla faccenda della sovranità popolare, che sembra essere diventata una pericolosa e facinorosa “eresia sovranista”.
Qualcuno in questi giorni si è chiesto perché l’art. 1 Cost. con una formula quasi sacramentale, al secondo comma, attribuisce la sovranità al popolo?
Ci si è interrogati sulla collocazione sistematica di questa disposizione, sulle sue ricadute anche in termini di interpretazione della carta costituzionale e sui suoi effetti?
A parere di chi scrive no.
La collocazione di un articolo in un testo normativo, soprattutto in una carta fondamentale, non è mai casuale, è frutto di un lavoro di costruzione dogmatica e di elaborazione di un pensiero scientifico imponente.
Il legislatore costituente, con l’introduzione del concetto di sovranità popolare, nell’art. 1 ha voluto dare una chiave interpretativa generale del sistema; la nostra Costituzione non ha un preambolo dove vengono fatte enunciazioni di principio, apre con l’art. 1, che fissa i principi di democraticità e sovranità come principi strutturali e organizzativi che informano l’ordinamento.
Non c’è bisogno di cercare chissà dove questa volontà, basta andare a leggere negli archivi degli atti parlamentari e leggere gli interventi in aula ed in commissione dell’assemblea costituente e i contributi interpretativi dati dai padri della carta costituzionale: L’On. La Pira definiva la prima parte della Costituzione “l’atrio” della carta fondamentale enucleante i principi ordinatori di tutto l’ordinamento.
Ecco quindi che l’art. 1, positivizzando il principio di sovranità popolare, diventa la chiave interpretativa della nostra democrazia e riempie di significato profondo il concetto di rappresentatività parlamentare: il Parlamento è espressione del popolo ed a questo deve rispondere.
Si consideri che il potere di scioglimento anticipato delle camere attribuito al Presidente della Repubblica costituisce il corollario del principio sopra esposto e rende ancor più vero questo assunto.
Il Presidente della Repubblica, organo terzo ed imparziale nella dinamica politica, che infatti, durando in carica sette anni, sopravvive alle flessioni partitiche e di maggioranze che sorreggono la fiducia del governo, nei momenti di crisi valuta se esiste la possibilità di dare mandato ad un nuovo esecutivo.
La natura di questo mandato, però, non può certo essere totalmente avulsa da quella che è la volontà popolare, che l’art. 1 Cost., testata d’angolo della democrazia parlamentare, vuole sovrana.
Lo disse a chiare lettere anche Costantino Mortati, padre costituente, declinando in chiave estremamente originale il concetto di costituzione materiale e che nel suo insostituibile contributo alla definizione del progetto di costituzione ha inteso valorizzare i “corpi intermedi”, in particolare i partiti politici nonché gli istituti di democrazia diretta, proprio per rispondere coerentemente al concetto sostanziale di sovranità attribuita al popolo.
Mortati, nel suo Manuale di diritto pubblico del 1958, espressamente ha affermato che il Presidente della Repubblica, proprio perché provvisto del potere di scioglimento anticipato delle Camere, nella valutazione sulla sostanziale possibilità di formare un governo che sia sorretto da una maggioranza parlamentare deve senza ombra di dubbio tenere in considerazione anche il sentire del corpo elettorale.
Ebbene, in questi tempi folli a chi spetta ricordare che l’attribuzione sostanziale della sovranità al popolo rappresentò un dogma per i padri costituenti?
Ad un “pericoloso e irresponsabile” partito sovranista, Fratelli d’Italia, che se ne sta prendendo la briga da tempi non sospetti denunciando, con la solita veemenza, ogni ipotesi di inciucio post elettorale: dal gabinetto Monti del 2011 passando per quelli di Letta, Renzi e Gentiloni, tutti governi recisamente non sorretti da una maggioranza parlamentare concordante con le scelte politiche compiute dal corpo elettorale.
Ma la Meloni anche dopo le elezioni del marzo 2018, all’alba della costituzione del governo giallo verde, aveva chiesto esplicitamente di tornare al voto per non svilire la volontà degli italiani, che avevano chiaramente attribuito alla coalizione di centro destra la maggioranza relativa.
Ebbene, questi principi sono ancor più veri là dove si consideri che la legge elettorale con cui viene espressa questa maggioranza parlamentare non è totalmente proporzionale, ma il 37 % dei seggi della Camera e del Senato è attribuita su base maggioritaria con collegi uninominali, in cui le alleanze dunque vengono costituite prima del voto.
L’elettore così, al momento dell’espressione del voto, è messo di fronte ad una scelta in cui ha evidenza dell’esistenza di una coalizione e che dunque gli fa presagire ed assaporare il perimetro delle alleanze in Parlamento.
Sulla base di quest’ultima intuitiva considerazione, appare chiaro ed evidente che attesi gli esiti elettorali del marzo 2018, già la costituzione del governo giallo verde aveva indubbiamente significato mortificazione della volontà popolare. Identicamente, la formazione Pd e Ms5 che si appresta ad incassare la fiducia del palazzo, si iscrive sullo stesso inaccettabile filone.
Senza voler considerare che nell’ultimo anno e mezzo tutte le consultazioni elettorali, comprese le elezioni europee, che costituiscono un termometro politico di rilievo nazionale di cui non si può non tenere conto, hanno visto una netta affermazione della destra, a scapito di una costante ed inesorabile decrescita proprio dei due partiti che si apprestano a ricevere il mandato per la formazione del governo.
Ha dunque del paradossale questo continuo ed esasperato richiamo all’art. 60 Cost. ed alla durata quinquennale delle camere, operato da chi si vuole assicurare un posto nella stanza dei bottoni
L’art. 60 Cost., infatti, se non è letto congiuntamente a tutte le norme che concorrono a costruire il sistema di democrazia parlamentare che ci appartiene, non ha senso, e le giustificazioni del Pd e dei 5 stelle, sinceramente, rimandano alla mente il formalismo giuridico orlandiano di fine ottocento che mortifica le istanze popolari a vantaggio di un modello di sviluppo esasperatamente capitalistico, a trazione borghese.
Lo valutino questo aspetto gli uomini e le donne di sinistra.
Abbiamo già citato il Mortati, costituzionalista democristiano e l’elaborazione del concetto di sovranità popolare, ma ancor più radicalmente, se si preferiscono altri riferimenti culturali, Vezio Crisafulli, costituzionalista di chiara fede comunista, espressione del PCI al quale aveva convintamente ed esplicitamente aderito, in un suo saggio sulla sovranità popolare nella costituzione italiana del 1953 diceva che “la sovranità è e rimane del popolo, lo Stato soggetto è dunque soltanto una tra le “forme” (rectius tra i mezzi) in cui essa viene costituzionalmente esercitata”.
Superando dunque la concezione di popolo che esercita la propria sovranità nei corpi intermedi e come corpo elettorale, che aveva ben formulato Mortati, Crisafulli ancor più esplicitamente e chiaramente afferma: “L’art. 1, secondo comma, attribuisce senza mezzi termini la sovranità – la spettanza e l’esercizio della sovranità – al popolo, non come eccezione, ma come regola, né alcun accenno si rinviene nel testo costituzionale ad una concorrente (…) sovranità dello Stato-soggetto. È vero che l’art. 1 rinvia, per l’esercizio della sovranità popolare, alle forme ed ai limiti della Costituzione. Ma, a ben guardare, tale richiamo risulta – anche testualmente – riferito all’esercizio, e non anche alla titolarità della suprema potestà di governo”.
Quindi, abbiate la bontà di non considerare l’art. 1 della Cost. una mera clausola di stile perché non lo è e se così venisse interpretato, allora sì saremmo di fronte ad un’eresia. La Costituzione va letta tutta intera, va compresa e osservata con scrupolo e senza parzialità, non va piegata ad interessi particolari ed estemporanei per giustificare giochi di palazzo a scapito del popolo che, tocca ripetere, dei pericolosi sovranisti affermano essere la prima e unica vera fonte della sovranità.
Con amarezza, ma con una punta di speranza, sovvengono le parole di uno dei più grandi giuristi italiani, Piero Calamandrei, che nella prima seduta plenaria dell’assemblea costituente disse “ …una sera quando stavo per andare a letto, sentii passare uno strillone che gridava l’ultima edizione di un giornale cittadino. Allora i giornalai avevano l’uso di gridare per le strade le notizie più importanti; quello nel silenzio della strada deserta gridava a voce altissima: «Terza edizione! La grande vittoria degli italiani!…»; ma poi aggiungeva, in tono più basso: «…non è vero nulla…» Bisogna evitare che nel leggere questa nostra costituzione gli italiani dicano anch’essi “non è vero nulla” (Piero Calamandrei – intervento all’assemblea costituente del 4 marzo 1947).
Rispondiamo alle preoccupazioni di Calamandrei non consentendo di far dire agli italiani “ Non è vero nulla”.