‘Spy story’ o ‘Mascheropoli’? Arcuri nella bufera: FdI all’attacco chiede verità

“Spy story” o “mascheropoli”? Destra e sinistra si dividono all’interno della commissione d’inchiesta sul Covid. La prima ritiene che la gestione di fondi statali da parte della struttura commissariale per l’acquisizione di dispositivi di protezione personale (le mascherine) sia stata fallimentare, la seconda pensa che il governo di allora agì come la scienza richiedeva. Sta di fatto che, a sostegno della prima tesi, c’è già una sentenza: quella con la quale la Presidenza del Consiglio, a causa degli errori commessi durante la pandemia, sarà chiamata a risarcire ben 203 milioni di euro alla Jc Electronics, un’azienda italiana il cui contratto con il governo che prevedeva la vendita di mascherine divenne cartastraccia quando Domenico Arcuri ascese a capo della struttura commissariale voluta dal premier Giuseppe Conte. E proprio i protagonisti di questa vicenda, i rappresentanti della Jc Electronics e Arcuri, sono stati auditi ieri all’interno della commissione d’inchiesta sul Covid fortemente voluta dal centrodestra e soprattutto da Fratelli d’Italia.

Le tesi di Arcuri

L’ex commissario straordinario per l’emergenza pandemica promette ovviamente che continuerà ad adire le vie legali e che la questione con la Jc Electronics non si fermerà affatto al primo grado. In ogni caso, ha portato in commissione la sua difesa: ha raccontato, in sostanza, che ha strappato il contratto con l’azienda italiana non perché avesse già altri accordi con aziende cinese (che avrebbero poi importato da noi mascherine che non rispettavano gli standard di sicurezza), ma perché la Jc Electronics sarebbe stata in ritardo nella consegna. Quando il caso venne allo scoperto, disse che le loro mascherine non avevano ottenuto il vaglio del Comitato tecnico-scientifico, anche se l’Inail aveva già dato il suo sì. Poco importa, a quanto pare. Arcuri va per la sua strada: “I dispositivi cinesi sono stati in totale il 7,6% del totale – ha sostenuto l’ex commissario, tornato in pubblico per la prima volta dal 2021 –, una cifra ben lontana dal monopolio di cui parla qualcuno. Dal 20 marzo al 30 luglio 2020 la struttura commissariale sottoscrisse contratti con 40 aziende, 34 italiane, per 9 miliardi di mascherine”. Ha bollato la vicenda come “marginale” sostenendo di non essersene mai occupato direttamente – anche se, adesso, 203 milioni di euro di risarcimento che dovranno pagare i cittadini, non sembrano affatto marginali –. Ha poi ripercorso le tappe di quella vicenda, proponendo di nuovo la tesi dell’“errore di comunicazione” tra gli uffici in merito alla validazione delle mascherine della Jc Electronics. Insomma, se ne lava le mani.

Arcuri tornerà in commissione

Una tesi che però non convince la destra. Alice Buonguerrieri, capogruppo di Fratelli d’Italia in commissione, ha detto al Tempo di essere stata colpita da “ciò che non ha detto. Penso non sia sfuggito che le sue ricostruzioni fossero perlopiù tentativi di difendere sé stesso, di sviare i temi per i quali era stato convocato, di denigrare la Jc Electronics e di addossare colpe ad altri, come la Protezione Civile”. Buonguerrieri, con un video pubblicato sui suoi profili social, era salita in cattedra poche ore prima dell’audizione di Arcuri per invitare i cittadini a seguire la diretta dell’audizione: “Ciò che sta emergendo dai lavori della commissione è inquietante” ha detto, aggiungendo che “è doveroso indagare sui profili di dolo”. Anche perché la questione può diventare molto più corposa di quello che sembra, al di là della mera inosservanza di vincoli contrattuali: “Se davvero, quando gli italiani morivano come mosche, furono introdotte consapevolmente mascherine che non proteggevano dal contagio gli operatori sanitari e, di conseguenza, anche i pazienti, potrebbe essere stata causata una strage e potrebbe prefigurarsi il reato di omicidio colposo plurimo”. I lavori dunque andranno avanti e probabilmente Arcuri sarà convocato di nuovo in commissione: “La commissione andrà a fondo per restituire agli italiani la verità sulla gestione dei soldi dei cittadini e su come fu tutelata la salute pubblica in quel periodo tremendo”.

Le altre questioni in sospeso

E sarebbero molti altri temi su cui Fratelli d’Italia sta cercando la verità: quello ad esempio delle mascherine cinesi, importate a un costo molto più alto del loro valore di mercato (800 milioni di dispositivi pagati 1,2 miliardi di euro) e rivelatesi poi non idonee con i nostri standard di sicurezza. Ma sono ancora tanti i punti interrogativi: ci sono procedimenti aperti su casi quali l’acquisto di macchinari medici mai entrati in funzione, l’acquisto dei famosi banchi a rotelle inutilizzati dalle scuole e svenduti, a mesi di distanza, a cifre simboliche, l’irregolarità negli acquisti di test diagnostici, il mancato utilizzo di dosi di vaccino prossime alla scadenza. Ma secondo la Corte dei Conti, a causa di alcune norme approvate durante la pandemia con cui l’istruttoria può proseguire soltanto in casi di dolo, “è ragionevole supporre che diverse delle istruttorie ancora aperte finiranno per essere archiviate non potendosi perseguire i profili commissivi connotati da colpa grave pur in presenza di ipotesi di danno assai rilevanti”. Insomma, tutto è destinato a essere insabbiato. Questo almeno pareva essere l’obiettivo finale di chi probabilmente già sapeva, all’epoca, che qualcosa non andava. Ed è per questo che Fratelli d’Italia ha promesso ai cittadini di fare luce su un periodo ancora troppo buio, tramite l’istituzione della commissione d’inchiesta contro la quale, con sospetto, si è levato l’ostruzionismo della sinistra.

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