Da ormai 17 mesi, Fratelli d’Italia, il governo Meloni e il centrodestra tutto stanno vivendo un periodo di forte consenso elettorale come mai era stato riscontrato nell’epoca repubblicana, tantomeno nelle ultime legislature, dove si sono succediti diversi (troppi) governi formati dagli stessi partiti ma in percentuali distinte, così da risultare sempre diversi ma, nella linea politica, tutti uguali. La grande conflittualità delle coalizioni che si formavano quasi giocoforza con l’intenzione di arrivare a Palazzo Chigi e nulla più, determinava lungaggini nel prendere decisioni e nell’attuare azioni concrete per la Nazione, ammesso che ce ne fosse l’intenzione. Talvolta, la grande rapidità con cui gli esecutivi perdevano la fiducia parlamentare non permetteva neppure all’iter di formazione del governo di arrivare al termine, lasciando dipartimenti interi senza dirigenti e dunque privi di indirizzo politico. E quindi, questi o non funzionavano oppure remavano in direzione diametralmente opposta alle linee guida dell’esecutivo. Il risultato finale è stata la totale mancanza di fiducia dei cittadini nelle Istituzioni e, in generale, nel mondo della politica. E gli effetti inequivocabili si sono resi subito visibili: crescita dell’astensionismo e consenso alle stelle per il più becero populismo del “gratuitamente” (salvo poi fallire anche questo).
Ora la storia è cambiata, perché da quasi due anni un governo è in carica – già questo dato in Italia è abbastanza per parlare di svolta – senza dover fronteggiare ultimatum emanati da partiti interni alla coalizione e con una stabilità la cui positività si riscontra soprattutto a livello economico: un governo stabile equivale a politiche economiche sicure su cui gli investitori possono contare. È anche per questo motivo che la maggioranza (Fratelli d’Italia in prima linea) sta battendo forte sulla riforma costituzionale, inserendo l’elezione diretta del Presidente del Consiglio: una riforma che così rafforzerebbe la legittimità popolare del premier ed eviterebbe soprattutto che a Palazzo Chigi vengano arbitrariamente scelte dai partiti figure totalmente estranee al corpo elettorale in virtù di un accordo – o un inciucio, fate voi – post-elezioni.
Il dato sulla stabilità del governo è sancita da molti istituti statistici. L’ultimo è stato l’istituto Piepoli, che sul Giornale di questa mattina ha emanato i dati sui consensi dei partiti e dei singoli leader. Il primo leader politico su cui ricade il favore degli italiani (dopo la figura istituzionale del presidente della Repubblica Sergio Mattarella) è Giorgia Meloni: stabile il suo consenso al 41%, di gran lunga superiore al 27% di Giuseppe Conte e di Matteo Salvini, al 26% di Antonio Tajani e al 25% di Elly Schlein. Del presidente del Consiglio viene apprezzata soprattutto la linea scelta in fatto di politica estera: l’appoggio italiano alla NATO e poi le rassicurazioni degli ultimi giorni in merito alla volontà di aiutare il popolo ucraino ma di evitare un conflitto mondiale, hanno fatto rialzare il consenso per Meloni, per i leader del centrodestra e per il governo stesso, il cui gradimento sale di un punto percentuale rispetto al mese precedente, arrivando al 38%. Anche i partiti della maggioranza risentono positivamente del buon lavoro e della stabilità dell’esecutivo: Fratelli d’Italia è dato al 28%, di gran lunga superiore al PD (staccato di otto punti percentuali) e a tutti gli altri partiti. La coalizione di centrodestra è invece stimata al 46%. Numeri che fanno ben sperare per le prossime elezioni europee.