Parecchi quotidiani della stampa estera in questo week end hanno mostrato le immagini del crollo del ponte Morandi, e aperto con articoli sull’Italia e sulla sua situazione del Bel Paese soprattutto riguardo all’economia e ai rapporti con l’Europa. Ve ne diamo un riassunto qui di seguito…
Soprattutto, tiene banco il governo “populista” come viene definito l’esecutivo giallo-verde che, per la stampa straniera, starebbe elaborando una sorta di “Piano Marshall” prevedendo una spesa di quasi 94milioni di sterline pari circa a 80milioni di euro, tutti da utilizzare per ricostruire le eventuali strutture fatiscenti, utilizzando l’emozione suscitata dal ponte di Genova per sbloccare le regole di Bilancio della UE.
I tecnici del governo italiano immaginano di invocare la regola d’oro teorizzata dal britannico Gordon Brown, ex leader laburista ed ex Presidente del Consiglio, per non far gravare gli eventuali investimenti sul già colossale deficit consolidato, uno stratagemma che renderebbe più facile alla coalizione 5stelle-Lega di stimolare così sia la fiscalità che all’economia ormai da troppo tempo stagnante quando non recessiva.
Un momento delicatissimo e rischioso per una sorta di scommessa in prossimità di settembre, momento in cui le famigerate agenzie mondiali di rating si appresteranno a presentare i loro giudizi, e già lasciano balenare un possibile “downgrade” della fiducia nei confronti dell’Italia, mentre già la Banca Centrale Europea sta ridimensionando gli acquisti sul debito italiano. Non a caso, lo spread sulle obbligazioni biennali italiane è già salito sopra i 200 punti base, mentre chi vigila sul bond sembra immemore di quello che, sempre la stampa internazionale, definisce “il rischio politico che si sta sviluppando a Roma”.
Ma c’è anche chi se la prende con “la follia delle dottrine di austerità messe in campo dalla UE”, come ha fatto Matteo Salvini, ministro degli Interni e uomo forte della Lega. Austerità che, sempre secondo Salvini, avrebbe grande responsabilità pure nel crollo del viadotto Morandi e dei 43 morti che ne sono conseguiti. “Lo stato italiano deve investire tutto il denaro necessario per garantire la sicurezza delle nostre strade, ferrovie, scuole e ospedali, indipendentemente dai limiti e dalle pazze regole europee imposte a noi”, ha affermato.
Più cauto il ministro delle finanze italiano, Giovanni Tria, che fino al crollo del viadotto Mantovani, ha mantenuto una linea di basso profilo riguardo alle norme che controllano la spesa nella UE, cercando di contenere i timori di Bruxelles causati dall’alleanza 5Stelle-Lega che ha avanzato promesse elettorali valutate fino al 6% del PIL. Ora, dopo il disastro di Genova, anche Tria pare aver alleggerito la propria posizione, chiedendo un piano globale per la ricostruzione delle infrastrutture degradate senza che si chiamino in causa i vincoli di bilancio. Certo è che la posizione del ministro Tria appare alquanto complessa, dato che da una parte subisce un’enorme pressione per mollare l’austerity e ignorare le richieste della UE, e dall’altra – visto anche che si trova nel governo giallo-verde praticamente imposto dal filo europeista Mattarella – per non cedere continuando a lavorare su un ulteriore consolidamento fiscale dell’1% del PIL nel prossimo bilancio da presentarsi entro ottobre. I tecnici del governo immaginano di avere un po’ di libertà per portare avanti e attivare un piano al 80 miliardi di euro già stabilito dal governo Gentiloni per investimenti a lungo termine, ma alla domanda su come possa essere finanziato un simile progetto, non ci sono risposte. Anzi, come ha dichiarato Lorenzo Codogno di LC Macro Adviors: “Dove si troveranno i soldi è un mistero”.
Ma se da Salvini arrivano accuse alla UE di aver quanto meno agevolato il disastro di Genova, da Bruxelles negano di avere avuto alcun ruolo nella disgrazia, insistendo sul fatto di aver sempre incoraggiato la spesa per infrastrutture. A conferma di quanto sostenuto, la Commissione ha citato il fianziamento UE di 2,5 miliardi di euro per gli investimenti pubblici italiani per il periodo 2014/2020, nonché i finanziamenti del piano Juncker. A tutto ciò, Salvini ha ribattuto liquidando come “carità” il denaro delle imposte italiane che viene inviato in Europa e che torna indietro, oltre che decurtato, anche con precisi obblighi di spesa. Del resto si può osservare che la Commissione europea non risponde mai nel merito di chi le contesta l’austerity come momento di partenza di una spirale discendente delle economie europee, iniziata nel 2010 e da allora mai più completamente bloccata.
Questa versione dei fatti trova l’appoggio di due premi Nobel dell’economia, i keynesiani Paul Krugman e Joe Stiglitz. Entrambi sostengono che sia stato un errore fondamentale tagliare la spesa in un momento di liquidità globale, ripetendo così le disastrose politiche di Hoover negli anni ’30. Risposta adeguata avrebbe dovuto essere l’aumento degli investimenti pubblici e la ricostruzione dell’infrastruttura in un momento in cui il capitale era abbondante e il moltiplicatore fiscale era potente. La causa principale di questo grande errore era il trattamento della crisi europea delle banche, dei bilanci privati e dei flussi di capitale, come se si trattasse di una crisi del debito pubblico. La mancanza di un prestatore di ultima istanza dietro gli Stati dell’Eurozona ha aggravato il problema per l’Italia, che è stata costretta a effettuare tagli draconiani. Non a caso, quando Berlusconi nel 2011 mostrò di volersi ribellare al diktat della UE, venne rovesciato anche grazie all’aiuto di Italiani come il Presidente Napolitano, e venne sostituito da un “commissario UE” come Mario Monti che solo alla UE rispondeva e per la UE si impegnò senza nessuno scrupolo.