Erano i tempi in cui ad agosto si andava tutti i vacanza. Ancora nessuno aveva sentito parlare di “partenze intelligenti”, e per lo più gli italiani si spostavano da nord, dove chiudevano le grandi fabbriche, a sud, dove avevano magari la famiglia e la casa avita. I mezzi di trasporto preferiti erano l’auto e il treno, mentre gli aerei erano ancora visti ad appannaggio se non dei ricchi almeno dei benestanti.
Di solito, in quei giorni di partenza, di sole cocente, ingorghi tentacolari, auto senza aria condizionata simili a camera a gas, l’allegria pervadeva comunque tutti. Erano arrivate le agognate “ferie” che all’epoca ancora non si chiamavano nemmeno vacanze. Almeno, fino a quel 2 agosto del 1980, alle 10.25 del mattino, a Bologna, quando un terribile boato cambiò tutto e dopo quel giorno non sarà mai più la stessa cosa.
L’esplosivo di fabbricazione militare – particolare non da poco – è all’interno di una valigia abbandonata nella sala di aspetto di seconda classe, quel giorno straripante di viaggiatori. Nessuno la nota, nessuno si domanda che ci faccia quel bagaglio solitario su di un tavolino sotto il muro portante dell’ala Ovest. La deflagrazione è violentissima: 23 chilogrammi di esplosivo, tra tritolo e T4, potenziato da 18kg di nitroglicerina a uso civile, vengono fatto brillare. Crolla il fabbricato, e viene investito anche il treno Ancona-Chiasso in sosta sul primo binario. 30 metri di pensilina vengono distrutti, insieme al parcheggio dei taxi subito fuori l’edificio. In terra rimangono 85 morti e 200 feriti, alcuni gravissimi, molti mutilati.
Bologna e l’Italia tutte reagirono con orgoglio. La catena della solidarietà è infinita, il cordoglio immenso, medici e personale ospedaliero rientrarono in anticipo dalle ferie per soccorrere tutti. Lo spettacolo di distruzione, rovine, sangue e disperazione si fissa nella mente e negli occhi di tutta la Nazione bloccata davanti alle televisioni per avere notizie dai telegiornali. Il giorno 6 agosto vengono celebrati i funerali delle povere vittime alla presenza dell’allora Presidente della Repubblica, Sandro Pertini, in una piazza gremita all’inverosimile e milioni di italiani che assistono in diretta TV.
Nei primi momenti circola la notizia che l’esplosione può essere stata causata da un incidente, lo scoppio di una vecchia caldaia, ma già la sera stessa dei fatti, si comprende che si era trattato di un attentato, il peggiore che abbia mai colpito l’Italia da sempre. Dunque, c’è una matrice terroristica dietro a quello scempio, e come si usava, e tutto sommato si usa ancora oggi in Italia, le indagini vengono subito indirizzate verso gli ambienti della destra eversiva. Quello che diviene ben presto chiaro per tutti, però, è che dal primo momento subito dopo l’attentato, cominciano i depistaggi che sembrano essere una parte integrante della nostra storia nel dopoguerra. Arrivano rivendicazioni fasulle dei Nar, che si scopre poi partite da una sede fiorentina del SISMI, poi rivendicazioni delle BR, seguite da telefonate di smentita delle stesse Brigate Rosse. Insomma, un delirio di sospetti, chiacchiere, fatti, fatterelli, lettere anonime, avvistamenti destituiti di ogni fondamento, assurde ricostruzioni, soffiate di collaboratori, di infiltrati, di presunti testimoni, tutto quanto possa contribuire a rendere il clima intorno alla strage di Bologna denso come una nebbia pesante.
Il 28 agosto 1980 la Procura della Repubblica di Bologna emette 28 ordini di cattura nei confronti di militanti di estrema destra dei Nuclei Armati Rivoluzionari, di Terza Posizione e del Movimento Rivoluzionario Popolare. A questi se ne aggiunsero altri, per un totale di oltre 50. Le accuse sono associazione sovversiva, banda armata ed eversione dell’ordine democratico. In base ai rapporti della DIGOS, ma anche in base alle testimonianze e dichiarazioni dei detenuti, finirono sotto inchiesta: Roberto Fiore e Massimo Morsello, Gabriele Adinolfi, Sergio Calore, Francesca Mambro, Elio Giallombardo, Amedeo De Francisci, Massimiliano Fachini, Roberto Rinani, Valerio Fioravanti, Claudio Mutti, Mario Corsi, Paolo Pizzonia, Ulderico Sica, Francesco Bianco, Alessandro Pucci, Marcello Iannilli, Paolo Signorelli, Pierluigi Scarano, Francesco Furlotti, Aldo Semerari, Guido Zappavigna, Gianluigi Napoli, Fabio De Felice e Maurizio Neri. Tutti saranno successivamente scarcerati nel 1981.
Intanto gli anni passano. Impossibile condensare qui la mole enorme di depistaggi messi in atto soprattutto da organi deviati dello Stato. Basti dire che Francesco Cossiga, nel marzo del 1991 afferma di essersi sbagliato a definire “fascista” la strage della Stazione di Bologna, ciononostante, è sempre a destra che si continua a cercare, indagare, rimestare. Alla fine, per la strage si arriva ad indagare i capi dei Nar, Fioravanti, Mambro, Cavallini, più una miriade di altri soggetti che poi verranno rinviati a giudizio per reati minori.
Si procede per anni tra primo grado e appelli, fino ad arrivare in Cassazione il 23 novembre del 1995. Vengono condannati all’ergastolo, quali esecutori dell’attentato, i neofascisti dei NAR Valerio Fioravanti e Francesca Mambro, che si sono sempre dichiarati innocenti (mentre hanno ammesso e rivendicato decine di altri omicidi, con l’eccezione di quello di Alessandro Caravillani, di cui la Mambro si dichiara innocente.(Wikipedia) Così l’opinione pubblica in generale viene tacitata, e si prova a mettere una pietra sopra definitiva a quella strage terribile. Eppure, anche in questo modo, anche con dei condannati in giudicato, la strage di Bologna resta una macchia scura sul tessuto della Nazione. Le condanne in proposito non hanno convinto, lasciando spazio a decine di quesiti insoluti, e mostrando spesso clamorose contraddizioni, il tutto “confezionato” in modo tale che nemmeno nei migliori libri di spionaggio è stato possibile fare di meglio.
Una frase di Fioravanti, rende bene il clima che i processi e i fatti di Bologna hanno lasciato dietro di sé: “A noi è andata di lusso. L’ho sempre detto e ringrazio i [giudici] bolognesi perché hanno esagerato talmente tanto che alla fine veniamo chiamati a rendere conto solo di una cosa che non abbiamo fatto [la strage] e non di quelle che abbiamo commesso veramente [i numerosi omicidi commessi dai NAR], quindi veniamo perdonati per le cose che abbiamo fatto davvero perché nessuno in fondo ci pensa e discutiamo invece all’infinito di un’altra cosa; è un paradosso.” E alla fine ci si potrebbe anche arrendere davanti a una verità che forse non è tale, se non fosse che il sangue e il dolore di tanta povera gente meriterebbe almeno risposte serie e definitive. Almeno rispetto.