Doveva essere una giornata di festa ieri a Catania. Era anche il giorno in cui ricorreva la festività di Sant’Agata, la patrona della città, una tra le festività più sentite e partecipate in tutto il mondo. Era attesa anche Giorgia Meloni che, da Presidente del Consiglio, era giunta alle falde dell’Etna per la firma del nuovo contratto di sviluppo relativo al nuovo finanziamento di circa 90 milioni di euro dei fondi del PNRR per la realizzazione della GigaFactory, una grandissima industria di pannelli fotovoltaici che punta a rendere Catania “uno dei poli industriali più importanti d’Europa” nel comparto. Si è avuto modo di parlare di numeri – saranno circa un migliaio i nuovi occupati, in un settore che sta crescendo e potrebbe fruttare miliardi di euro nei prossimi anni – e del PNRR – in merito al quale Meloni ha ricordato, in contrasto con gli “allarmi” lanciati dall’opposizione, i risultati ottenuti, “tanto perché dovevamo essere fanalino di coda”. Ma un evento ha offuscato la festa: una notizia di stupro ai danni di una tredicenne proprio lì, a Catania, consumato nei giorni precedenti in pienissimo centro. Un evento increscioso, che ha portato la premier a fare, nel suo intervento, una doverosa digressione iniziale per ricordare alla vittima che “che lo Stato ci sarà e che lo Stato garantirà che sia fatta giustizia”.
Il fatto: martedì 30 gennaio, circa le sette di sera. Era già buio nella centralissima Villa Bellini di Catania quando due fidanzatini passeggiavano nei pressi dei bagni pubblici. Da quanto si apprende, lui diciassettenne, lei tredicenne. Si tenevano per mano quando, all’improvviso, si ritrovano accerchiati da sette giovani e giovanissimi. Tutti egiziani. Bloccano lui e li costringono a entrare nei bagni: fanno a turno, in due stuprano la ragazzina, gli altri cinque restano a guardare, tenendo a bada il fidanzatino minacciandolo. Il tutto dura qualche minuto, poi gli egiziani fuggono. Impaurite, doloranti e sotto shock, le vittime vengono finalmente notate dai passanti: arrivano i Carabinieri e partono le indagini. In pochissime ore si giunge ai colpevoli: i quattro maggiorenni vengono subito arrestati – uno è ai domiciliari – mentre gli altri tre minorenni, tra i quali uno ha anche partecipato allo stupro, vengono spediti in un centro di prima accoglienza. Dalle indagini emerge che erano arrivati in Italia clandestinamente, minorenni e senza documenti, forti della legislazione per la quale “in ragione della minore età – si legge in una nota degli inquirenti – vige il divieto di espulsione con possibilità di rilascio da parte della questura competente del permesso di soggiorno fino al compimento della maggiore età”.
“Mi colpisce particolarmente il fatto che proprio nel giorno in cui si celebra una giovanissima martire della tradizione cristiana si debba vedere un’altra giovanissima vittima della violenza sessuale”: ha commentato così l’accaduto Giorgia Meloni, esprimendo solidarietà alla vittima. Il problema c’è: se è questa l’accoglienza che anni di governo di sinistra voleva imporci, qualcosa evidentemente è andato storto in fatto di integrazione. Lo dice anche il vicesindaco di Catania, Paolo La Greco: “Non v’è dubbio che c’è una convivenza complessa che dobbiamo pian piano abituarci ad avere”. Ma per ora, la sinistra glissa: non si sente parlare di maschilismo, di patriarcato né di donna oggetto. Maria Grazia Leone, segretaria del PD nella provincia di Catania, si limita a dire che “non possiamo delegare alle forze dell’ordine la soluzione di un problema profondo di tipo culturale e sociale”. Bene, anche giusto. Se non fosse che proprio la sinistra si perda come sempre in bagarre ideologiche e prettamente linguistiche, rifiutandosi di parlare del fenomeno dei migranti minorenni non accompagnati che varcano illegalmente le frontiere nazionali e che si fanno forza (e beffe) della legislazione vigente. Venti parlamentari, tra cui Laura Boldrini, hanno chiesto un maggior impegno dell’Italia al Consiglio europeo affinché la direttiva europea sulla lotta alla violenza contro le donne cambi terminologia, superando la nozione di “rapporto non consensuale” e accentuando l’accezione della costrizione. Una bagarre linguistica appunto, alla quale il ministro della Famiglia Eugenia Roccella ha già risposto, chiarendo che l’Italia si è detta “a favore dell’inserimento del reato di stupro nella direttiva”. Ma, appunto, nel merito la sinistra glissa, pensando solo ai principi: come se ai sette stupratori egiziani importasse qualcosa di certe terminologie.