Donald Trump ha sempre e notoriamente usato un linguaggio diretto e ha evitato finora quello che in Italia identifichiamo come politichese. Questa sua schiettezza ha fatto innamorare gli americani del trumpismo, ma a volte crea qualche equivoco strumentalizzato poi ad arte dalla stampa statunitense e mondiale, soprattutto quella liberal e mainstream per la quale il presidente Trump è una figura politica scomoda da boicottare e fraintendere apposta ogni qualvolta si può. Un conto è la replica data ad un giornalista, magari di fretta e della quale vengono estrapolate solo le parole che servono di più per destare scandalo, un altro, sono i fatti concreti e su questi Donald Trump, è stato così durante il primo mandato e avverrà la stessa cosa nel secondo incarico presidenziale, ha dato prova di pragmatismo e buonsenso.
Adesso, a leggere certe ricostruzioni, pare che Trump non veda l’ora di annettere, in un colpo solo, Canada, Groenlandia e Canale di Panama. Perché non tutta Panama viste le dimensioni non esagerate della Repubblica centroamericana? Giusto il tempo di insediarsi alla Casa Bianca e poi le truppe a stelle e strisce partirebbero alla volta delle Province canadesi, dei ghiacci groenlandesi e del caldo tropicale panamense. Chi ha un minimo di sale in zucca e non ha l’interesse strumentale di presentare Donald Trump come un mostro, sa bene che non capiterà nulla di tutto ciò. Il presidente USA ha semmai posto nel dibattito americano ed internazionale delle questioni molto serie e reali anche se il mainstream va, nei suoi resoconti, soltanto dal folclore all’idea sballata che la più grande democrazia del mondo sia guidata da un pazzo fanatico. Certo, Trump non ha mai amato molto il premier canadese di centrosinistra ora dimissionario Justin Trudeau, (a dire il vero, Trudeau ha perso la benevolenza anche del suo stesso partito, il Partito Liberale, e dei cittadini canadesi visto che alle prossime elezioni sono dati per vincenti gli avversari del Partito Conservatore).
Quindi, il presidente USA ha un po’ approfittato della crisi politica in corso ad Ottawa per togliersi qualche sassolino dalla scarpa e spiegare come il Canada possa pure diventare il 51esimo Stato degli Stati Uniti d’America dopo le cospicue elargizioni in denaro versate da Washington nelle casse pubbliche del vicino settentrionale. Però, Trump ha voluto provocare intenzionalmente per evidenziare a tutti, anche agli europei, un tema cruciale, ovvero, la sicurezza internazionale nel Mare Glaciale Artico dove è presente, come si sa, anche la Russia. Il Canada, al di là della diffidenza intercorsa fra Trump e Trudeau, è senz’altro un componente affidabile dell’Occidente e un autorevole membro della NATO, ma se i territori dell’estremo nord canadese e qui rientrano anche le coste della Groenlandia, fossero protetti dall’esercito USA in maniera completa, le manovre della Russia nell’Artico diventerebbero meno insidiose. Donald Trump viene tacciato di putinismo, di essere addirittura succube di Vladimir Putin, ma pare ch’egli abbia chiaro in mente il peso delle mire di Mosca.
Gli europei che hanno criticato le esternazioni trumpiane, fra questi non l’Italia e non Giorgia Meloni, non ci hanno capito molto, invece la Russia ha compreso alla perfezione e il ministro degli Esteri russo Sergej Lavrov ha subito promesso che il suo Paese difenderà a spada tratta la propria influenza nell’Artico. La Groenlandia è stata tirata in ballo, non perché un giorno il presidente degli Stati Uniti si sia svegliato con il ghiribizzo di colonizzare gli Inuit, bensì perché è la stessa popolazione dell’isola a chiedere un cambiamento di status e da tempo i groenlandesi hanno avviato un processo progressivo di indipendenza dalla Danimarca. Trump non è divenuto come il Charlie Chaplin nel film Il grande dittatore e nei panni parodistici di Adolf Hitler, che giocherellava con il mappamondo. L’ingresso del Canada negli Stati Uniti può essere più una lucida ipotesi che una suggestione malata perché nelle Americhe, qui in Europa forse non tutti ne sono a conoscenza, circola da anni il disegno, per così dire, di un grande Nord America unito, dal Canada al Messico e attraverso, ovviamente, gli odierni Stati Uniti. Un blocco gigantesco capace di fronteggiare meglio le potenze avversarie o del tutto nemiche come Russia, Cina e Paesi Brics. Chissà quando tutto ciò diverrà concreto e non sarà di sicuro nell’immediato, ma oltreoceano alcuni stanno studiando evoluzioni di questo genere e non si può liquidare tale argomento come fantapolitica. In sostanza, Donald Trump non si inventa nulla di nuovo così come non pronuncia frasi stravaganti in merito al Canale di Panama.
Questa fondamentale infrastruttura che permette alle navi commerciali di passare dall’Oceano Pacifico a quello Atlantico e viceversa senza dover circumnavigare l’America meridionale, è stata amministrata fino al 1999 dagli Stati Uniti. Da 25 anni il Canale viene gestito dalle Autorità panamensi, ma se gli USA di Trump intendono tornare ad occuparsene, considerate le crescenti tensioni globali anche in ambito economico-commerciale, un eventuale rilancio dell’impegno di Washington non avverrebbe con le armi, ma tramite la forza economica.
Ottimo articolo e lucida analisi scevra da qualsiasi ricostruzione di parte.