Il discorso tenuto pochi giorni fa da Mario Draghi in una conferenza organizzata nella città belga di La Hulpe dalla presidenza di turno UE del Belgio, ha destato parecchia attenzione da parte dei media italiani, i quali però hanno dato perlopiù una sola chiave di lettura, forse la meno azzeccata, dell’intervento dell’ex premier ed ex presidente della BCE. Nel ritorno a livello mediatico di Draghi, giornali e televisioni hanno visto soltanto una cosa, ovvero, una sorta di autopromozione finalizzata a prendere il posto di Ursula von der Leyen alla presidenza della Commissione europea, il cui mandato è in scadenza. Mario Draghi, dicono, con il discorso belga ha, di fatto, già presentato una candidatura, sorretta da punti programmatici sciorinati, appunto, a La Hulpe. Se lo ha fatto, continuano a rimarcare le varie dietrologie giornalistiche, è perché esiste una maggioranza in Europa pronta a sostenerlo. Il mandato di Ursula von der Leyen scadrà il 31 ottobre prossimo e chi le succederà non sarà votato o votata durante l’attuale legislatura del Parlamento europeo, ma da un’assemblea rinnovata dalle elezioni europee di giugno. Quindi, come ha ricordato giustamente la premier Giorgia Meloni, converrebbe aspettare l’esito delle vicine Europee e la nuova conformazione che assumerà l’Europarlamento.
Non si può parlare ora, anche per rispetto verso gli elettori, di maggioranze sicure per Draghi o per altre figure. Ciò che possiamo fare adesso è l’analisi del contenuto dell’intervento di Mario Draghi in Belgio, che presenta aspetti degni di approfondimento. Draghi vuole e chiede un cambiamento radicale in Europa, e mette in luce delle lacune del Vecchio Continente che sono, in effetti, reali e palpabili. Qui, su La Voce del Patriota, non possiamo ignorare l’elencazione fatta dall’ex premier circa le falle europee, anche perché Fratelli d’Italia indica da sempre, da quando aveva il 4 per cento dei voti ad oggi, la necessità, non di abbattere i ponti fra i Paesi della Comunità, ma di rivedere profondamente gli assetti di questa UE, che spesso si è rivelata insufficiente dinanzi alle crisi mondiali, economiche e politiche. Vi è stato il lungo periodo dell’asse franco-tedesco, che ha diviso l’Unione europea, nel nome di un assai frainteso europeismo, fra un Sud problematico e un Nord più forte, avente il libero arbitrio di decidere per sé ogni forma di protezionismo, alla faccia della solidarietà comunitaria, e di pretendere tuttavia rigore dalle aree più deboli del continente.
La destra non ha mai invocato il ritorno agli anni Trenta, bensì ha lottato e lotta per la correzione di determinate storture e per una Unione che non sia un gigante burocratico impegnato a regolare la misura delle verdure e a distribuire inutili lacci e lacciuoli, ma fondamentalmente distratto su quelle questioni che fanno la differenza nel mondo e determinano la capacità della UE di reggere o meno il confronto con potenze globali come gli Stati Uniti e la Cina. Draghi pone infatti l’accento su argomenti ben più incisivi della lunghezza dei cetrioli e pure della tanto decantata transizione green. Intanto, avverte l’ex Presidente del Consiglio, il mondo sta cambiando rapidamente e, fra tutte le zone industrializzate del pianeta, quella europea è la più lenta nel recepire i mutamenti. Altri non rispettano le regole nel commercio internazionale e nell’industria, e qui, sebbene per qualcuno possa apparire come una bestemmia, c’è una convergenza con quanto ha sempre sostenuto Donald Trump in merito alla concorrenza sleale cinese. Manca una strategia industriale UE per rispondere ai competitor internazionali e in troppe occasioni le economie delle varie Nazioni europee si sono pestate i piedi fra di loro a tutto vantaggio dei concorrenti extra-UE.
Vista l’urgenza delle sfide Mario Draghi esorta all’azione prima della prossima modifica dei Trattati, che non è proprio dietro l’angolo. Bisogna finire di indugiare nel campo degli investimenti privati. Fra le 18 aziende che investono di più al mondo compaiono solo due società europee, le note Case automobilistiche Volkswagen e Mercedes, entrambe tedesche. Il continente acquista armi e munizioni per un 20 per cento al proprio interno mentre il restante 80% viene reperito fuori dalla Unione, e questo è un settore delicato in cui non bisognerebbe dipendere troppo da altri. La spesa militare sostenuta dalla UE, 270 miliardi di euro, è ben più alta di quella riguardante la pur bellicosa Federazione russa, 86 miliardi di euro, ma si tratta di denaro investito in maniera disomogenea e poco integrata. L’Europa spende in energia molto di più degli Stati Uniti e diviene chiaramente meno competitiva nel mondo. A tal proposito, occorre un radicale cambio di passo rispetto alle scelte autolesionistiche del recente passato, che renda il Vecchio Continente più autosufficiente a livello energetico.
La guerra in Ucraina ci ha fatto aprire gli occhi sulle insidie di una eccessiva dipendenza energetica da altri. Il 95% dei pannelli solari installati in Europa viene prodotto in Cina, e se abbiamo compreso il pericolo di una sudditanza sotto lo stivale di Vladimir Putin, dovremmo anche guardarci dalla possibilità di soggiacere a Xi Jinping. Per Mario Draghi l’Unione europea deve iniziare a muoversi come una sola Nazione, quasi sulla falsariga degli Stati Uniti d’America. Il salto verso un super-Stato europeo è probabilmente prematuro per questa epoca e non è voluto dai popoli del continente, ma le sfide contemporanee impongono senz’altro alle Nazioni UE di lasciare perdere in primo luogo i dispetti fra partner, di scarso respiro e poco lungimiranti, e di marciare unite negli ambiti cruciali dell’economia e della geopolitica.
Roberto for ever. La tua attenzione per le questioni politiche strategiche è sempre fonte di arricchimento e approfondimento.
Vorrei aggiungere solo una piccola provocazione: avete notato l’ottusa cecità con cui gli organi di governo europei credono di combattere i monopoli e difendere la concorrenza, in realtà combattendo solo la crescità economica europea e favorendo la concorrenza extra europea, di paesi che non si pongono queste auto-limitazioni?
Vogliamo parlare del caso ITA/Lufthansa? Vergognoso.
Per non farmi prendere dai fumi, la butto sul teorico: il grande economista e uomo di Stato Joseph Shumpeter già cent’anni fa aveva sottolineato come la crescita della dimensione aziendale sia una importante leva per l’innovazione, e lo stesso formarsi di monopoili in una fase di crescita sia un fattore di sviluppo economico e tecnologico.
I miei rispetti, nel mio piccolo, a Mario Draghi.
Penso che un domani, in un auspicabile contesto politico neo-conservatore privo degli ideologismi perniciosi della sinistra, possa dare un contributo prezioso.
Con affetto
Alessandro