Taiwan non vuole morire comunista. Pechino ne prenda atto

Si sono concluse le elezioni presidenziali dell’isola di Taiwan, che sono state forse le più seguite degli ultimi anni, fra tutti i rinnovi più recenti della presidenza della Repubblica di Cina, (Taiwan si chiama anche così e non deve essere confusa con la più grande Repubblica popolare cinese guidata da Pechino). Le Presidenziali taiwanesi sono state seguite in primo luogo dal regime di Xi Jinping, ma anche il resto della comunità internazionale, a cominciare dagli Stati Uniti, ha osservato con estremo interesse lo svolgimento di tali consultazioni.

Vi è stata una contrapposizione molto netta fra due visioni diverse del futuro di questo Stato, che è indipendente de facto, ma non de iure. Ossia, quella del candidato del più antico partito taiwanese, il Kuomintang, storicamente assertore del nazionalismo cinese e della riunificazione di Taipei con la Cina continentale, e quella del concorrente del Partito Progressista Democratico, adesso soprattutto sostenitore del mantenimento dello status quo, (Taiwan indipendente di fatto e non sottoposta alle autorità di Pechino, ma impegnata a non dichiarare in modo unilaterale l’indipendenza ufficiale), ma con un recente passato caratterizzato da un acceso nazionalismo taiwanese del tutto antitetico alla Cina comunista di Xi Jinping. La dittatura di quest’ultimo, divenuta negli anni recenti sempre più decisa a riassumere un controllo totale dell’isola, con le buone o con le cattive, preferisce le posizioni più concilianti verso Pechino del Kuomintang rispetto a quelle autonomiste del Partito Progressista Democratico.

Taiwan deve la propria esistenza ai nazionalisti del Kmt, (Kuomintang), i quali nel 1949, quando i comunisti presero il sopravvento in tutta la Cina continentale, ripararono nell’isola di Formosa, l’odierna Taiwan, capeggiati dal generale Chiang Kai-shek. Il Kmt ha sempre sostenuto il principio di una sola Cina, ma ai tempi del generale Chiang Kai-shek e anche molti anni dopo la sua morte, si perorava la riunificazione fra Taipei e Pechino, trattandosi, in effetti, al di qua e al di là dello Stretto di Formosa, di un solo popolo, una volta caduto il regime comunista. L’anticomunismo del Kuomintang prima maniera era assai radicato e non si voleva cedere ad alcun compromesso con il Partito Comunista Cinese, tuttavia, i vertici contemporanei del Kmt sono divenuti più possibilisti di fronte all’autocrazia rossa, che si mantiene saldamente in piedi da più di settant’anni. Ma il popolo taiwanese, che ha raggiunto ampie forme di libertà e non vuole tornare indietro, non accetta la resa ad una tirannia solo perché essa si è rivelata inamovibile e vuole continuare a difendere le proprie conquiste. Infatti, il Kuomintang, partito dominante nell’isola per decenni, è stato più volte relegato al secondo posto dal Ppd, (Partito Progressista Democratico), con la perdita della presidenza e della maggioranza presso lo Yuan legislativo, Parlamento monocamerale della Repubblica di Cina.

La presidente uscente, Tsai Ing-wen, è del Ppd, e il vincitore delle Presidenziali appena conclusesi, William Lai, appartiene anch’egli al medesimo partito. Lai è un sostenitore ancora più acceso della autonomia di Taiwan e risulta particolarmente inviso ai comunisti di Pechino. Come dicevamo, queste elezioni presidenziali taiwanesi sono state parecchio seguite dalla Repubblica popolare e si è sperato sino all’ultimo che il detestato candidato autonomista non conquistasse il primo posto, ma l’amore per la libertà e la democrazia è stato più forte di tutte le intimidazioni messe in essere da Xi Jinping, che non ha esitato, per esempio, a schierare alcune navi da guerra nello Stretto di Formosa durante il giorno delle elezioni. La Cina comunista rispetti il voto taiwanese e il fatto che a Taipei si vuole difendere con le unghie e con i denti quanto raggiunto in termini di diritti e democrazia, e cerchi di apprezzare quantomeno la volontà, sia del neo-presidente di Taiwan William Lai che degli Stati Uniti, di evitare strappi come potrebbe essere una dichiarazione unilaterale e ufficiale di indipendenza.

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Roberto Penna
Roberto Penna
Roberto Penna nasce a Bra, Cn, il 13 gennaio 1975. Vive e lavora tuttora in Piemonte. Per passione ama analizzare i fatti di politica nazionale e internazionale da un punto di vista conservatore.

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