Era una di quelle verità tacitate. Una di quelle che si sapevano ma non si dicevano. Ammettere che lo strapotere della magistratura è un problema per la democrazia molto vivo in Italia, diventa quasi un tabù, un problema a dirsi. Il Governo Meloni, in questo senso, è stato il primo governo a varare in Consiglio dei Ministri una riforma che mira a risolvere il suddetto problema, a rompere quella ingerenza della magistratura sull’indirizzo politico della Nazione, a superare quella divisione in correnti che distrugge il mondo giudiziario e la sua terzietà prevista invece dalla Costituzione e dallo Stato di diritto.
Tutti coinvolti
Separazione delle carriere tra giudice e Pubblico Ministero, l’istituzione di un nuovo organo, l’Alta Corte Disciplinare, ad affiancare il Csm, la scelta mediante sorteggio dei componenti del Csm. La conferma che le tre nuove disposizioni contenute nel disegno di legge, che ora attende il via libera del Parlamento (salvo ulteriori, e probabili, ostruzionismi del mondo giuridico), sono un bene per la Nazione, arriva dalle rivelazioni di Giovanni Pellegrino, ex Pci e Pds intervistato ieri dal Corriere. Durante l’inchiesta di Tangentopoli che portò alla fine della Prima Repubblica, alla distruzione della Democrazia Cristiana e alla liquidazione del Partito Socialista Italiano e del suo leader, Bettino Craxi (l’unico partito a non essere coinvolto fu il Movimento Sociale Italiano), Pellegrino ricoprì la carica di presidente della giunta per le autorizzazioni a procedere. Insomma, come dire: non è l’ultimo arrivato. Quella inchiesta, com’è noto, si basò sui finanziamenti illeciti ai partiti. E di finanziamenti illeciti ne usufruirono tutti i partiti, anche lo stesso Pci: “Apparentemente il mio partito non prendeva soldi – racconta Pellegrini -. Però nella cordata vincitrice di ogni appalto c’era sempre una cooperativa rossa con una percentuale dei lavori. Dal 10 al 15%. Rivedo ancora i nostri bellissimi congressi dove campeggiavano i cartelloni pubblicitari delle co- operative. Era chiaro il meccanismo di contabilizzazione dei finanziamenti irregolari. Ed era altrettanto chiaro che anche noi facevamo parte del sistema: una sorta di Costituzione materiale del Paese“.
D’Alema lo tranquillizzò
Pellegrino racconta di aver avuto timore delle indagini della magistratura. Ma fu rassicurato, come sostiene, da Massimo D’Alema: “Era la primavera del 1993. Mi concesse un incontro ma dopo pochi minuti mi zittì: “Come al solito voi avvocati siete contro i pubblici ministeri. Volete capirlo che questi di Milano [la Procura, n.d.r.] stanno facendo una rivoluzione? E le rivoluzioni si sono sempre fatte con le ghigliottine e i plotoni d’esecuzione. Perciò cosa vuoi che sia qualche avviso di garanzia o qualche mandato di cattura di troppo? Eppoi Luciano [Violante, ex politico e magistrato, n.d.r.] mi ha detto che possiamo stare tranquilli, perché Mani Pulite non se la prenderà con noi“. Tangentopoli fu quasi un colpo di Stato, un modo per spianare la strada alla sinistra, di sbarazzarsi della Balena Bianca, di aprire un nuovo sistema pluridecennale tutto rosso con gli eredi del comunismo italiano. Ed era pure andato tutto bene, finché non si formò quel nucleo di centrodestra grazie all’ascesa in politica di Silvio Berlusconi e alla nascita di Alleanza Nazionale. Ciò che rileva, tuttavia, è che nessuno, dopo le parole di Pellegrino, si sia indignato. Neppure D’Alema ha tentato di smentire. Tutti sanno che quella Tangentopoli fu il tentativo di creare un sistema di potere completamente di sinistra. Ed è sotto gli occhi di tutti quanto può essere nociva per la democrazia una magistratura divisa in correnti e con ingerenze sul piano politico. La riforma della giustizia voluta da Giorgia Meloni è dunque una necessità: la separazione delle carriere è realmente una delle misure più forti con cui contrastare la possibilità di trasformare lo Stato in un monopolio giuridico. Non a caso, la riforma era attesa da trenta anni e solo Giorgia Meloni è riuscita a vararla.