Treno della vergogna: l’odio dei comunisti italiani contro i profughi in fuga dalla violenza dei titini

Essere costretti ad abbandonare per sempre le proprie case, i propri beni, le proprie radici. Fuggire dalla furia belluina dei partigiani comunisti di Tito con la speranza di essere accolti in quella che si considerava la propria patria. E ricevere, invece di aiuto e consolazione, sputi e sassate. Non è un film dell’orrore: è quello che è accaduto, purtroppo in molti casi, agli italiani esuli istriani, fiumani, giuliani e dalmati.

Uno degli episodi più drammatici di questa triste vicenda, che rappresenta sicuramente una macchia indelebile nella storia della nostra Nazione, è quello del cosiddetto “Treno della Vergogna”. Era il 18 febbraio 1947 quando un convoglio di profughi giunse alla stazione di Bologna. A bordo c’erano uomini, donne, vecchi e anche bambini. Erano partiti due giorni prima da Pola. Erano stanchi, impauriti ed affamati. Ad accoglierli, invece della comprensione che speravano di trovare, diffidenza e violenza. I militanti comunisti nostrani, che già in una tappa precedente del loro viaggio li avevano fatti oggetto di attacchi e ostilità al punto che era stato necessario, per proteggerli, far intervenire l’esercito, a Bologna organizzarono una protesta che minacciava di bloccare il più importante snodo ferroviario del Paese se i profughi fossero scesi a terra. Addirittura impedirono agli enti assistenziali presenti di dare loro i pasti caldi che erano stati preparati. Alcuni, sventolando bandiere rosse con la falce e martello, lanciarono sui vagoni pietre e pomodori e altri versarono sui binari il latte per i bambini. Il convoglio dunque fu costretto a proseguire il triste viaggio fino a La Spezia, destinazione finale.

Anni dopo (era il 2007), in occasione del Giorno del Ricordo, presso il primo binario della stazione di Bologna, fu posta una lapide in memoria di quanto accaduto. Una lapide il cui testo, concordato dopo un lungo percorso di discussione, pur eccessivamente morbido e non storicamente preciso (si parla di “iniziale incomprensione” quando invece, come abbiamo visto, i profughi furono accolti a sputi e sassate e si interpreta quanto subito dagli italiani come conseguenza di una “guerra di aggressione intrapresa dal fascismo”), secondo qualcuno è sempre meglio di niente. Forse.

Ed è senz’altro importante quanto avvenuto il 18 febbraio 2024, quando in occasione della tappa bolognese del Treno del Ricordo, la rappresentante dell’Associazione degli Esuli Chiara Sirk, in un gesto di riconciliazione, ha stretto la mano al primo cittadino felsineo, l’esponente del Partito democratico Matteo Lepore. Gli Esuli però meritano di più. Meritano la verità. 

Gli esuli non erano, come scriveva L’Unità in un articolo del 30 novembre 1946, persone che si riversavano nelle città italiane “non sotto la spinta del nemico incalzante ma impaurite dall’alito di libertà che precedeva o coincideva con l’avanzata degli eserciti liberatori”. Per i comunisti italiani dunque non erano persone che meritavano asilo, ma fascisti cui non si doveva prestare solidarietà.

Questa linea, emblematica di un atteggiamento strumentale e menzognero, all’epoca venne rimarcata dalla stampa di sinistra e fatta propria dagli esponenti di una parte politica che allora negava l’assistenza ai profughi mentre oggi, in una sorta di capriola ideologica, fa dell’accoglienza ad oltranza una bandiera da sventolare contro chi non vuole l’immigrazione indiscriminata. Quella stessa sinistra, inoltre, non solo nega le colpe e le responsabilità di quanti, ideologicamente omologhi, si sono macchiati di atti persecutori indiscriminati contro coloro che avevano l’unica colpa di essere italiani, ma tenta ancora di ridurre o negare la portata della tragedia di foibe ed esodo. A costoro, in onore di quanti hanno patito sofferenze ed oblio, facciamo una promessa: non lasceremo che la storia venga dimenticata.

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Cristina Di Giorgi
Cristina Di Giorgi
Cristina Di Giorgi, due volte laureata presso l'università La Sapienza di Roma (in giurisprudenza e in scienze politiche), è giornalista pubblicista e scrittrice. Collabora con diverse testate e case editrici.

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