Siamo ancora lontani dall’autunno, eppure non sembra esserci aria di vacanza considerando i pesantissimi dossier che il governo ha sul tavolo, le continue esternazioni di vari esponenti politici spesso in contrasto tra loro, le nomine che fanno discutere, per non scrivere litigare che sarebbe comunque il termine giusto.
Cominciamo dal solerte ministro del Lavoro, Luigino Di Maio che, come abbiamo già fatto notare, sembra pervaso da una “fretta di fare” che non è riconducibile a una volontà di risolvere i problemi quanto dalla voglia di restare sulla cresta dell’onda e di non farsi sopravanzare dall’ingombrante figura di Matteo Salvini. Quello che però sembra davvero sfuggire al vicepresidente del Consiglio in tandem, è che già di per sé la figura del ministro del Lavoro è complessa e richiederebbe vasta e lunga esperienza nel settore, e che in Italia il lavoro non è un argomento difficile da trattare… ma molto di più. Così, dopo lo zoppicante Decreto Dignità che ha fatto alzare un coro di proteste non tutte motivate dall’opposizione contraria a prescindere, arrivano i grandi tavoli di concertazione, primo tra tutti quello sull’ILVA, uno dei problemi più spinosi che la Nazione si trova a dover affrontare ormai da decine di anni senza che sia mai stata trovata una soluzione vera e credibile.
Subito Di Maio si contraddistingue, invitando al tavolo ben 62 sigle, e sentendosi dire dal sindaco da Taranto che lui non parteciperà perché con tutte quelle sigle lì si tratterà di una sceneggiata e niente più. E tanto per andarci leggero, aggiunge parlando del “dilettantismo spaccone che il Ministro Di Maio ci spaccerà per trasparenza e democrazia, ma è solo una sceneggiata ben congegnata per coprire il vuoto di proposte e di coraggio“. Critica ripresa da un po’ tutte le controparti, pronte a sottolineare che un così esagerato afflusso di sigle alla concertazione, probabilmente copre la mancanza di un piano di rilancio da parte del governo. E se non bastasse, si fa sentire anche ArcelorMittal, capofila della cordata che ha vinto la gara per acquisire l’Ilva dallo Stato, che con una lettera allo stesso Di Maio fa notare di non essere stato preventivamente messo al corrente dell’allargamento del tavolo. Due parole anche dalla Fim: “Passerella” e dalla Fiom: “Chiarezza su tempi e modi della trattativa“. Insomma, si comincia bene, già si litiga prima ancora di mettersi seduti. Intanto, però, si discute pure sulla questione TAV, che vede una netta contrapposizione all’interno del governo stesso, con la Lega che deve rendere conto ai suoi elettori a cui per anni ha detto che la TAV è irrinunciabile, e il M5stelle che deve fare la stessa cosa, con il particolare che per anni Beppe Grillo e soci hanno spiegato alla loro gente che la TAV è solo uno spreco di soldi per far ingrassare i soliti papponi, parole loro. Nel frattempo che si trovi una soluzione praticabile che non scontenti nessuno, se mai accadrà, ecco il Presidente del Consiglio Conte volare da Trump, dove invece si parlerà del gasdotto TAP, qui però il Movimento 5stelle ha tutt’altra posizione, visto che si dichiara assolutamente favorevole all’opera, forse perché lo stesso Trump ha definito la TAP una infrastruttura irrinunciabile?
Su tutto ciò incombe la situazione Alitalia, e anche qui torniamo a parlare di un problema che sembra proprio irrisolvibile o che, almeno, si è dimostrato tale negli anni precedenti. Si ricomincerà tutto come all’epoca Berlusconi, visto che il governo sembra considerare Alitalia un asset irrinunciabile, e che quindi si mirerà a detenere il 51% della compagnia di bandiera, trovando investitori diversi per il restante capitale? Niente di nuovo, insomma, o di originale nel piano di rilancio, se tale si possono definire buona volontà e qualche chiacchiera.
Ciliegina sulla torta, la nomina di Foa a Presidente Rai che deve essere confermata dalla Commissione Parlamentare di Garanzia. E qui sono guai. Previsto il feroce disaccordo dei partiti di sinistra, ecco all’improvviso registrarsi anche quello di Forza Italia che pare anch’essa orientata a votare no sul nome di Foa. In realtà, il problema non sembra essere Foa – sebbene sia considerato dall’opposizione un po’ troppo duttile tra le mani di Salvini – quanto il modo con cui si è arrivati alla nomina dello stesso. Forza Italia non ci sta ad essere considerata l’ultima ruota del carro, e certo Salvini non fa nulla per alleviare le pillole amare che fa ingoiare giornalmente ai suoi alleati ostentando un atteggiamento che definire egocentrico e arrogante sarebbe volerlo sminuire. E ritorniamo a vecchi discorsi. Salvini è bravo. Ottimo imbonitore, capace di raccogliere grande empatia, che per un politico è tutto, ma dovrebbe pur ricordare che si è presentato per sua libera scelta alle elezioni in coalizione con altri due partiti, che in molti seggi hanno determinato anche la vittoria di candidati leghisti. Dunque, passi la nascita di un governo ibrido, di inciucio, se si tratta di salvare gli italiani dall’ennesimo governo di nominati dal Colle, come ha detto la Meloni, però un po’ di riguardo rispetto agli alleati bisognerebbe averlo a meno che… a meno che questa nomina di Foa imposta così brutalmente non sia un trappolone per gli alleati. Un modo che Salvini sta utilizzando per sbarazzarsi di Berlusconi una volta per tutte, forte della sua posizione attuale che gli fa immaginare di non avere bisogno di nessuno.
Chissà, magari ha ragione, ma se sbagliasse? Per questo ci permettiamo di rammentargli la figura di un altro Matteo, quel Renzi che fino a due anni fa sembrava destinato a diventare il padrone dell’Italia per i prossimi venti anni, con le nonnette che gli lanciavano i fiori dai balconi se passava sotto casa, e le scuole elementari che cantavano per lui canzoncine scritte dai maestri. Come sia finita, Salvini dovrebbe saperla meglio di noi, e appoggiarsi esclusivamente a un movimento ondivago e ambiguo come sono i pentastellati, non ci sembra poi questa idea così lungimirante. A buon intenditor…