Ricorrenze e festività scandiscono le nostre vite come dei rintocchi. Ci restituiscono il senso del tempo e non è sempre piacevole. Cosa facevamo un anno fa? Chi eravamo e come siamo diventati?
Sono domande inevitabili a ridosso dei giorni cerchiati sul calendario. Vale per tutti. Vale di più per chi ha affrontato cambiamenti drastici e traumatici e ha rimesso insieme a fatica i cocci della propria esistenza.
Allora sì che voltarsi indietro fa più male.
Nessuno dei circa 90mila profughi ucraini arrivati in Italia si sarebbe immaginato di trascorrere le feste in un centro di accoglienza. Di dover lasciare all’improvviso luoghi cari ed affetti sotto una pioggia di bombardamenti che non si è arrestata neppure a Natale.
Doveva essere una guerra lampo e invece si è trasformata in una guerra di posizione. Lunga e logorante: chi ha invaso non tratta e non accetta condizioni. È disposto a rimanere nel pantano di un conflitto senza prospettive pur di salvare l’onore. E così per il popolo ucraino è arrivato il primo Natale sotto assedio.
Chi lo ha passato in Patria ha dovuto fare i conti con le bombe ma anche con blackout e razionamenti energetici. È decorato solo con qualche colomba l’albero allestito in piazza di Santa Sofia a Kiev e non c’è traccia del trionfo di luci delle stagioni passate.
Diversa la situazione di chi ha trovato riparo da noi.
Lo abbiamo potuto verificare il giorno dell’Epifania, quando abbiamo accompagnato il sottosegretario all’Attuazione del programma, Giovanbattista Fazzolari, in alcune strutture di prima accoglienza della Capitale.
Qui lucine ad intermittenza e decori non mancano. Persone arrivate dai luoghi più disparati dell’Ucraina sono diventate via via piccole comunità. Si sostengono a vicenda. Si percepisce però un senso di smarrimento collettivo che neppure la più calda delle accoglienze può ripianare.
Ed è proprio per portare loro conforto che Fazzolari e il suo staff hanno organizzato la visita, presentandosi con grandi sacchi di juta pieni di calze e dolciumi e due befane che li hanno distribuiti ai più piccoli.
Quella della Befana è una tradizione sconosciuta ai popoli dell’est. E così la novità ha generato grande stupore. Inizialmente intimoriti dai cappelli appuntiti e dagli scialli scuri, i bambini si sono poi lasciati andare a momenti di pura gioia quando hanno scartato le prime caramelle.
Uno di loro si è persino impadronito di un cappello, sfilandolo alla legittima proprietaria. Lo ha ispezionando a lungo. Poi lo ha impugnato come una vela ed ha iniziato a volteggiare per la stanza. Sembrava quasi volasse.
E chi lo ha visto non ha potuto fare a meno di sentirsi leggero.