La Cedu si è pronunciata, l’ergastolo ostativo violerebbe l’articolo 3 della convenzione europea dei diritti dell’uomo. Cosa è accaduto?
L’Italia ha una norma. L’art 4 bis della legge sull’ordinamento penitenziario, che impedisce di accedere ai benefici carcerari, come permessi premio e libertà condizionata, a coloro che sono stati condannati all’ergastolo per reati gravissimi quali ad esempio associazione di stampo mafioso e terrorismo e che non collaborino con la giustizia. In sostanza: se non ti penti e non collabori non puoi uscire dal carcere in permesso premio o in regime di libertà condizionata.
Attualmente in questa condizione nelle nostre carceri sono ristretti un migliaio di detenuti, per la maggior parte ergastolani per criminalità organizzata.
Uno dei mille, Viola, in carcere da 26 anni, condotta ineccepibile, ma mai “pentito”, adisce la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, la Grande Camera si pronuncia ed afferma il principio per cui subordinare la concessione dei benefici carcerari alla collaborazione con la giustizia sarebbe violativo dell’art 3 della convenzione, che proibisce pene disumane e degradanti.
Cosa accade ora? Ora l’art 46 della stessa convenzione ci obbliga ad adottare misure generali necessarie a prevenire violazioni dello stesso tenore. Ebbene, su questo aspetto inviteremmo il ministro della giustizia Bonafede ad evitare improvvide quanto inesatte dichiarazioni. Ha infatti inspiegabilmente affermato che il governo “si opporrà in tutte le sedi per modificare questa decisione”. Peccato che altre sedi non esistano, considerato che la sentenza non può essere oggetto di ulteriore vaglio.
Ad ogni modo, in concreto, lo Stato Italiano dovrà modificare l’art 4 bis adeguandosi a questa interpretazione dei giudici di Strasburgo.
Ma per comprendere la portata dirompente di questa sentenza occorre interrogarsi sul perché l’art 4 bis ha avuto ingresso nel nostro ordinamento. Il pool antimafia aveva trovato nelle dichiarazioni di Buscetta e dei pentiti che lo seguirono un punto di svolta, iniziarono i riscontri e le verifiche, si iniziava a disegnare per la prima volta un quadro concordante e circostanziato che portò alla celebrazione del maxi processo. La mafia con lo strumento del pentitismo era stato colpita al cuore. Ecco dunque che vede la luce il 4 bis: per stimolare la dissociazione e la conseguente collaborazione. Del tutto evidentemente il tenore della sentenza della Corte Europea non tiene in debito conto le tonnellate di tritolo, le auto bomba e le sventagliate di mitra in pieno sole. Strasburgo non ha perso uomini come Chinnici, Dalla Chiesa, Falcone e Borsellino, nè ha dovuto fare i conti con quella lunga scia di sangue che mafia, camorra e terrorismo hanno lasciato sui nostri selciati. Ora in Parlamento occorrerà adoperarsi con forza, affinché il legislatore nel modificare la norma adotti sapiente tecnica giuridica, in modo da rispettare quanto più possibile la ratio della legge.
Falcone è stato fatto saltare in aria pochi giorni prima che l’art 4 bis vedesse la luce, Borsellino un mese dopo. Oggi, la scure che si abbatte su questa disposizione, così senza una profonda valutazione del contesto, fa tornare alla mente quei boati e ci mette di fronte ad una realtà che sembra virare verso un odioso permissivismo mascherato da garantismo di facciata.