“Consideriamo improcrastinabile una revisione della direttiva sui rimpatri e del concetto di Paese sicuro così come consideriamo importante anticipare il più possibile quanto previsto dal nuovo Patto di immigrazione e asilo anche al fine di fare definitiva chiarezza su un argomento che è stato oggetto di recenti provvedimenti giudiziari dal sapore ideologico che, se fossero confermati nella loro filosofia di fondo dalla Corte di giustizia Ue, rischierebbero di compromettere almeno fino all’entrata in vigore delle nuove regole Ue, nel 2026, le politiche di rimpatrio di tutti gli Stati membri, una prospettiva preoccupante e inaccettabile che occorre prevenire con determinazione”. Un controsenso bello e buono a cui andiamo incontro, raccontato chiaramente dalla premier Giorgia Meloni ieri in Parlamento: se non si trovano dei correttivi a certe lacune, ogni giudice di ogni Stato membro può bloccare le procedure di rimpatrio nei confronti di un clandestino in nome del cosiddetto principio di territorialità nato in una sentenza della Corte di Giustizia e che i magistrati nostrani, celeri come mai, hanno allargato alle categorie di persone. Se infatti il primo requisito sostiene che un Paese non è sicuro se non lo è il suo intero territorio, i giudici italiani ritengono che un migrante non può essere rimpatriato se nel suo Paese di origine non vengono rispettate tutte le minoranze. La deriva presa era facilmente prevedibile: giudici che bloccano i rimpatri anche se il singolo migrante non si dichiara appartenente a una di quelle minoranze non rispettate o perseguitate. E da ciò, il pericolo maggiore: la possibilità che ogni giudice possa bloccare a suo piacimento un provvedimento di rimpatrio, una scelta non solo giuridica ma molto spesso anche politica che dunque spetterebbe al governo eletto dai cittadini, e non a persone che il corpo elettorale non ha visto né conosciuto.
Anticipare al 2025 la lista dei Paesi sicuri europea
Le parole della premier, però, non arrivavano così per caso, perché già nella lettera inviata dalla stessa presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, scopriamo che l’Europa è al lavoro per superare questo problema, che è potenzialmente catastrofico. Nella consueta missiva che von der Leyen ha redatto in vista del Consiglio europeo e indirizzata ai vari capi di Stato e di governo, si legge chiaramente che c’è la necessità di “accelerare” l’analisi delle autorità “dei Paesi terzi specifici che potrebbero potenzialmente essere designati come Paesi di origine sicuri e Paesi terzi sicuri, al fine di redigere elenchi Ue”. La nuova strategia europea “introduce già elementi innovativi, tra cui l’allineamento del concetto di “Paese terzo sicuro” nel regolamento sulla procedura di asilo con gli standard internazionali, introducendo al contempo una maggiore flessibilità per la sua applicazione”. Insomma, è allo studio una nuova normativa, che andrebbe ad anticipare quella che già era prevista per il 2026. Anticipare al 2025 la linea comune da seguire per tutti gli Stati membri è una rivoluzione immensa, dato che l’accordo con l’Albania potrebbe riavere così subito una nuova valenza, non essendo indispensabile neppure attendere le decisioni della Corte di Giustizia dell’Unione europea, a cui si sono rivolti sulla questione molti tribunali italiani. In altre parole, è l’Europa che ancora una volta si schiera dalla parte del Governo Meloni in fatto di immigrazione, come da due anni a questa parte, e segue la rotta tracciata dall’esecutivo italiano per risolvere le più importanti questioni che adesso il popolo comunitario sta vivendo.