Gli unici che forse potrebbero dare una mano costruttiva, un aiuto vero, sono i paesi confinanti dell’America Latina ma, per tutta risposta, il Brasile schiera i soldati alla frontiera e il 19 agosto scorso la popolazione di Pacarima assale circa mille migranti venezuelani e li ricaccia verso il confine dopo averli massacrati a colpi di bastone e con il lancio di sassi. Anche l’Ecuador si sta allineando allo stesso atteggiamento intransigente, in più da alcuni giorni i cittadini venezuelani che vogliano entrare nel paese devono presentare il passaporto e non più solo la carta d’identità. Tra poco anche il Perù farà la stessa cosa.
Il perché è evidente: sotto il governo di Maduro il Venezuela sta attraversando una recessione senza fine e sempre di più sono i venezuelani che tentano di lasciare il paese per raggiungere stati che diano loro la possibilità di un futuro. Del resto, con l’inflazione all’80mila per cento (ma si prevede che raggiungerà e probabilmente supererà il milione per cento), la speranza è sempre meno, le difficoltà sempre maggiori. In Venezuela è ormai quasi impossibile curarsi, perché le medicine non ci sono, e quelle che ci sono spesso hanno pezzi inavvicinabili ai più. Mangiare tutti i giorni è un’impresa, più volte al giorno, un miracolo. E su tutto lo stolto dittatore Maduro ha pensato di indire un giorno di vacanza solo per modificare la parità e il taglio del bolivar, la moneta locale, ancorandone il valore al prezzo del petrolio di cui il Venezuela, incredibile ma vero, è ricchissimo.
Si calcola che nel sottosuolo nazionale si trovino i maggiori giacimenti di tutta l’America, ma purtroppo mancano le infrastrutture per l’estrazione e quelle che c’erano, nel corso dei decenni, private delle necessarie manutenzioni, sono ormai obsolete e improduttive tanto che il Venezuela è addirittura importatore di petrolio e benzina. Ci sarebbe dunque tanto da fare, ma la politica suicida del dittatore non lo permette. Maduro non è interessato all’economia quanto lo è ai suoi oppositori a cui dà una caccia continua. E’ di pochi giorni fa la notizia che la Corte Suprema venezuelana ha dichiarato Julio Borges, uno dei massimi leader dell’opposizione, un tempo anche a capo dell’Assemblea nazionale del paese, colpevole di tradimento e di essere uno degli ispiratori del recente complotto fallito contro Maduro. La corte ha anche ordinato l’arresto di Borges che, per fortuna, attualmente si trova in Colombia. Ma sono già a migliaia gli oppositori del dittatore imprigionati o addirittura spariti nel nulla. Poco importa se lo scorso anno, l’opposizione venezuelana ha vinto il prestigioso Premio Sakharov, conferito dal Parlamento europeo a coloro che lavorano per i diritti umani e la libertà di pensiero. Proprio Borges, in quell’occasione, aveva accettato il premio per conto dell’opposizione lanciando un grido sulla democrazia minacciata in Venezuela.
Purtroppo, però, ormai in Venezuela si è ben oltre la minaccia alla democrazia. Basti dire che anche l’Assemblea Nazionale ormai ha un ruolo assolutamente relativo, visto che lo scorso anno, Maduro l’ha sostituita con una nuova istituzione, l’Assemblea costituente, completamente controllata dal suo partito. Intanto, gli accoliti del dittatore tentano di giustificare le azioni e la posizione di Maduro chiamando in causa vecchie icone rivoluzionarie. E’ il caso di Pedro Careno, alto funzionario del Partito Socialista Unito del Venezuela (il partito di Maduro), che ha citato addirittura Che Guevara: “Per i nemici della patria e la rivoluzione, concluderò, come disse una volta Che, che siamo un incubo per coloro che vogliono portare via i nostri sogni”, ha affermato con una spettacolare faccia di bronzo, quasi che i sogni del Venezuela, o meglio dei venezuelani, siano quelli di morire di fame e di vedere la propria bellissima e ,fino a qualche anno fa, fiorente terra, trasformata in un girone dell’inferno dantesco.