Venti persone sono state arrestate per il rapimento di Silvia Romano, una ragazza italiana che si trovava in un villaggio nel sud-est del Kenya, come è stato riferito dal capo della polizia locale.
Silvia Romano, come tanti connazionali, tempo fa aveva deciso di trasferirsi in Kenya dove si adoperava come cooperante nel villaggio di Chakama, a 80 chilometri nell’entroterra della città costiera di Malindi, quest’ultima una delle zone più popolari e turistiche del Paese. Diverso il discorso riguardo al piccolo villaggio dove Silvia soggiornava. Davide Ciarrapica, volontario della ONLUS di Likoni, ha descritto la zona dove si trovava la cooperante come un posto “in mezzo alla foresta, in mezzo al niente”, aggiungendo che il più vicino posto di polizia si trova proprio a Malindi, e quindi oltre gli 80 chilometri di distanza e che proprio per questo era stato sconsigliato alla Romano di recarsi lì. Attualmente, sembra che nessuno sappia dove Silvia si potrebbe trovare, a parte che allontanandosi dal luogo del rapimento i tre rapitori si sarebbero diretti verso il vicino fiume Galana.
L’ispettore generale Joseph Boinett ha dichiarato in una conferenza stampa: “Abbiamo 17 persone sotto custodia, e ne abbiamo anche arrestate altre tre che consideriamo come soggetti probabilmente interessati nella questione. Ci hanno fornito informazioni preziose che sono servite per supportare l’operazione in corso che siamo certi ci permetteranno di rintracciare e salvare la signora che è stata rapita”, ha poi concluso.
Quello che è certo, è che chiunque abbia rapito Silvia Romano è senza scrupoli, visto che per portare via la ragazza i componenti della banda non si sono fatti problemi a sparare e a ferire cinque persone, compresi tre bambini.
Silvia Romano, 23 anni, milanese d’origine, si trova in Kenya come volontaria dell’ONLUS Africa Milele, che ha sede a Fano, nelle Marche, e da tempo cura progetti nella zona del rapimento. Nelle ricerche la polizia sta cercando di vagliare tutte le possibilità, compreso il fatto che la banda stia tentando di raggiungere con l’ostaggio il confine con la Somalia, in una zona dove già in precedenza erano stati trasferite le vittime di altri rapimenti, come per esempio Judith Tebbutt, una donna che fu rapita sulla costa dopo che il marito era stato assassinato a colpi di armi da fuoco, o come la francese Marie Dedieu, rapita nella sua casa sull’isola di Manda nell’arcipelago di Lamu. Entrambe le donne erano finite in Somalia, sei mesi dopo la Tebbutt venne rilasciata, mentre un destino molto crudele aspettava la Didieu, che morì lì in seguito a una malattia contratta durante i durissimi giorni del sequestro.
Unica nota positiva – se poi tale si può considerare – di tutta la storia, è che si tende ad escludere la responsabilità nel sequestro degli uomini del gruppo militante Shabaab affiliato ad Al Quaeda, che si macchiarono del rapimento di due cooperanti spagnoli nel 2011, e si predilige la pista della criminalità comune. In generale, oggi fonti di polizia locale hanno fatto filtrare un moderato ottimismo. Potrebbero già essere in corso delle trattative per pagare un riscatto e riavere indietro sana e salva la ragazza. Le prossime ore potrebbero essere cruciali per una soluzione positiva.
In Italia la famiglia ha chiesto il silenzio stampa.