Intitolare una via o una piazza in una qualsivoglia città italiana ad uno scomparso leader politico dell’Italia repubblicana e democratica del dopoguerra, a capo di un partito votato da un certo numero di elettori e regolarmente rappresentato in Parlamento, dovrebbe essere un atto del tutto naturale e comunque non destinato a fomentare particolari polemiche. Giorgio Almirante, cofondatore e segretario per tanti anni del Movimento Sociale Italiano, fu una figura politica uguale a quella appena descritta, ma quando viene citato il suo nome, per dedicargli qualcosa, per ricordarlo o anche solo per parlarne, ecco che si mobilita subito la Volante Rossa di questo tempo, senza dubbio meno armata e violenta di quei partigiani comunisti che proseguirono le loro azioni criminose sino al 1949, ben dopo la Liberazione, ma ancora intrisa di un odio ideologico che avrebbe dovuto smettere di lacerare la Nazione almeno una cinquantina di anni fa. Il Partito Democratico del 2025, che è mosso da una mentalità molto più vetusta di quella, per esempio, del socialista e antifascista Bettino Craxi, il quale coinvolgeva Almirante nelle consultazioni di governo, è tuttora capace di mostrarsi indignato e schifato se qualcuno rievoca il leader missino passato oltre nel 1988. Quelli del PD sarebbero poi, in teoria, i riformisti di sinistra a vocazione maggioritaria, ma intorno al Nazareno danzano ancora, come le streghe nei loro immaginati rituali, i nostalgici veri e propri del comunismo, perlomeno dichiarati e di sicuro meno ipocriti dei compagni piddini. Esistono tutt’oggi i comunisti in Italia? Certo che sì ed è persino risorto il Partito Comunista Italiano, stessa sigla e stesso simbolo del partito sciolto da Achille Occhetto nel 1991. Il PCI contemporaneo deriva in larga parte dai Comunisti Italiani di Armando Cossutta e Oliviero Diliberto, tuttavia, a differenza del vecchio PdCI, questa formazione svolge un ruolo di mera testimonianza e non costituisce più quella stampella di estrema sinistra che si è rivelata essenziale in passato per i governi ulivisti e di centrosinistra. Sebbene si tratti più di un museo delle cere che di un partito funzionante, il PCI, da non confondere con il Nuovo PCI, quello delle liste di proscrizione riguardanti gli “agenti sionisti” in Italia, (siamo oltre alla scissione dell’atomo), qualche iniziativa del piffero riesce a promuoverla. Il comitato regionale toscano del PCI ha presentato ricorso straordinario al Presidente della Repubblica, (sic!), contro una delibera varata dall’Amministrazione comunale di Grosseto guidata dal Sindaco Antonfrancesco Vivarelli Colonna, centrodestra, per l’intitolazione di una via a Giorgio Almirante, una a Enrico Berlinguer e un’altra alla Pacificazione nazionale. Passi, figuriamoci, lo storico segretario comunista, ma no, non si può proprio elevare la memoria del padre del MSI così tanto da riservargli una targhetta in una via e nemmeno pensare di fare la pace con i “fascisti”. Quindi, oltre al redivivo PCI, si sono mobilitati contro la decisione del Comune di Grosseto anche il PD, la CGIL, i soliti dell’ANPI e Rifondazione Comunista, (ah sì, il partito che fu di Fausto Bertinotti continua anch’esso a sopravvivere). Il ricorso del Partito Comunista Italiano è giunto a scomodare per forza di cose il Consiglio di Stato che però ha dato ragione alla Giunta del Sindaco Vivarelli Colonna, sottolineando come il Comune sia l’esclusivo titolare della funzione amministrativa di toponomastica, mentre il Prefetto è chiamato a rilasciare o meno l’autorizzazione basandosi su ragioni di tutela dell’ordine pubblico o esigenze di regolarità anagrafica. Il Consiglio di Stato ha in sostanza riconosciuto come la procedura seguita dal Comune di Grosseto sia stata regolare e ha posto un freno autorevole all’odio politico che, a quanto pare, è peggio della gramigna. La stragrande maggioranza degli italiani, per fortuna, guarda altrove, ma rimangono ampi settori della sinistra che dimostrano di essere rimasti fermi, non solo agli anni Settanta-Ottanta, bensì al primissimo dopoguerra della Volante Rossa, se pensiamo poi, fra l’altro, che c’è ancora chi crede all’attualità del comunismo. Questi odiatori di professione non si sono neppure accorti del fatto che a Grosseto non si voglia fare una esaltazione in sé dell’operato politico di Giorgio Almirante, ma, volendo, per così dire, cointestare una via sia al segretario del MSI che a Enrico Berlinguer, (il lato sinistro della strada al celebre numero uno del PCI, quello destro al fondatore del partito della Fiamma Tricolore), si spinga piuttosto a superare per sempre quegli steccati ideologici che arrivano dalla guerra civile italiana e che oggi, francamente, sono più che antistorici. Almirante chiedeva, inascoltato, la pacificazione nazionale già tanti anni fa ed era, lui, il segretario di un partito descritto dalla vulgata di allora come un gruppo di nostalgici fascisti, assai più avanti di taluni giovincelli “antifascisti” dei giorni nostri, che sventolano le bandiere rosse e alzano pure le mani su Polizia e Carabinieri. Per seppellire l’odio e fondare la democrazia sullo scontro legittimo fra avversari e non fra nemici, il “fascista” Almirante si recò a rendere omaggio alla salma di Enrico Berlinguer, mettendosi in coda fra la folla come un normale cittadino. Tale gesto fu apprezzato moltissimo dai vertici comunisti di quel tempo, anch’essi forse più avanti dei loro eredi odierni, e una delegazione del PCI, quello vero di Botteghe Oscure, presenziò quattro anni dopo presso la camera ardente dove veniva dato l’ultimo saluto a Giorgio Almirante. Il Movimento Sociale Italiano lavorò sempre nel solco della democrazia e della libertà, e fece tutti i conti possibili con il fascismo, le alleanze occidentali del dopoguerra e i rapporti con lo Stato di Israele. La destra di Almirante fu limitata dalla democrazia bloccata della Prima Repubblica, ma se al segretario missino fosse toccata la sorte di vivere in questa epoca, adesso potremmo parlare di Giorgio Almirante come di un leader conservatore di governo.