C’è un passaggio dell’intervista di Donald Trump a Sean Hannity, subito dopo il vertice di Anchorage con Vladimir Putin, che vale più di cento analisi geopolitiche: «avremmo potuto fare grandi cose con la Russia. Ma non ci è stato permesso. Perché? Perché c’è stata la bufala Russia, Russia, Russia».
Eccolo, il cuore della questione. Il Russiagate, la più grande fake news della storia contemporanea. Una montatura costruita dai democratici americani, spinta dai media mainstream e venduta all’opinione pubblica mondiale come un dogma. Non era un’inchiesta, era un golpe mascherato da indagine. Obiettivo: delegittimare Trump e impedire che gli Stati Uniti potessero aprire un dialogo con Mosca.
Perché se cadeva il muro dell’ostilità artificiale verso la Russia, cadeva l’intero edificio del globalismo. Trump lo aveva detto chiaramente già all’Onu nel 2019: «il futuro non appartiene ai globalisti, appartiene ai patrioti». Una frase che da sola spiega perché sia diventato il nemico pubblico numero uno del sistema. Non per i suoi tweet, non per i suoi toni, ma perché rappresenta una minaccia esistenziale per chi governa attraverso caos, paura e guerra.
Il Durham Report ha confermato che tutto era stato inventato dall’establishment democratico – Obama, Hillary Clinton, Joe Biden –, e trasformato in verità assoluta dai media mainstream. L’Fbi aprì un’inchiesta senza prove, violando protocolli basilari, trattando sospetti infondati come dogmi. In altre parole, l’America si è lasciata commissariare dalla sua stessa intelligence per impedire a un presidente eletto di governare. Un precedente gravissimo, che ha spianato la strada a tutto quello che è venuto dopo: dall’isolamento della Russia alla guerra in Ucraina.
Nel frattempo, mentre Trump veniva demolito a colpi di menzogne, la famiglia Biden incassava fior di soldi in Ucraina. Hunter Biden consulente della società energetica Burisma a 83mila dollari al mese senza alcuna competenza, e suo padre Joe – vicepresidente – a dettare la linea della Casa Bianca insieme a Barack Obama. Il risultato? Un legame tossico tra Washington e Kiev non dettato da strategie geopolitiche, ma da conflitti d’interesse.
E l’Europa? La democrazia a geometria variabile. In Romania, quando Călin Georgescu vinse le elezioni, il voto fu annullato con la scusa delle solite “interferenze russe”. Più tardi, a George Simion e al suo movimento AUR fu impedito di vincere, bollati come estremisti filorussi. Alcuni giorni fa il Dipartimento di Stato USA ha dovuto ammettere che di interferenze non c’era traccia. Che strano.
In Francia, chi come Marine Le Pen osa mettere in discussione l’Europa di Bruxelles viene bollato come pericoloso estremista e sommerso di indagini. In Germania, l’AfD viene trattata più come un nemico interno da neutralizzare che come un partito da battere alle urne. Quando i popoli parlano, l’élite cala la censura.
E mentre l’Occidente si affanna a ripetere la favola dei buoni e dei cattivi, i geni del progressismo internazionale hanno compiuto il loro capolavoro: hanno spinto Russia e Cina nelle braccia l’una dell’altra. Una coppia che la storia ha sempre visto come rivale naturale, trasformata invece in un asse compatto.
È il vero disegno: usare l’odio verso Mosca per spingere l’Europa tra le braccia di Pechino, consolidando un bipolarismo perfetto per chi governa il caos, disastroso per chi lo subisce. Come ha detto JD Vance, oggi vicepresidente scelto da Trump, lo scontro non è più tra destra e sinistra, ma tra élite e popolo. Da una parte i patrioti che difendono confini, identità, lavoro e comunità. Dall’altra i globalisti che hanno bisogno di abbattere ogni confine, cancellare ogni identità, precarizzare ogni lavoro e dissolvere ogni comunità.
Ecco perché la propaganda continua a mentire. Perché la realtà è brutale: se il Russiagate non fosse mai esistito, oggi non ci sarebbe la guerra in Ucraina; se Trump non fosse stato delegittimato da quella colossale fake news, oggi avremmo un dialogo con Mosca e non un continente sull’orlo della catastrofe.
Trump è il leader più travisato della storia perché è il pericolo più grande per il sistema globalista, che infatti finanzia media mainstream e sinistra. Perché se Trump resiste, cade il castello di menzogne che hanno edificato per governare contro la volontà dei popoli. Ed è proprio qui che nasce la demonizzazione ossessiva: non contro l’uomo Trump, ma contro ciò che rappresenta.
Perché finché Trump resta in piedi, trema l’intero impianto del globalismo.
E se resiste lui, allora, possiamo resistere anche noi.