WEF, l’assoluzione di Schwab: inchiesta interna o insabbiamento?

Il World Economic Forum archivia le accuse al suo fondatore Klaus Schwab. Ma tra irregolarità “minori”, dimissioni eccellenti e accuse esplosive, restano molte ombre sulla credibilità di Davos.

Il verdetto di Davos

Un verdetto che sa di assoluzione, ma lascia il sapore amaro del dubbio.
Il board del World Economic Forum (WEF) ha dichiarato che Klaus Schwab, fondatore del Forum di Davos e padre del “Great Reset”, non ha commesso “material wrongdoing”, ossia nessun illecito sostanziale. Una formula volutamente ambigua: tecnicamente innocente, ma non del tutto limpido. Perché lo stesso WEF ha parlato di “irregolarità minori”, riconducibili a “linee sfumate” tra contributi personali e attività istituzionali.

Schwab, 87 anni, aveva già lasciato il board ad aprile. L’inchiesta doveva chiarire se, negli ultimi anni di reggenza, il patriarca di Davos avesse usato il Forum come una cassa personale e come strumento di influenza politica. Il risultato è stato una sorta di amnistia interna: accuse derubricate, immagine parzialmente salvata.

Le accuse dei whistleblower

L’origine della vicenda sta in una lettera di whistleblower indirizzata al board del WEF la scorsa primavera.
Le accuse erano pesanti:

– uso improprio di fondi del Forum per pagare massaggi in hotel,
– prelievi di contanti da bancomat effettuati dai collaboratori per suo uso personale,
– manipolazione del Global Competitiveness Report per “corteggiare” governi amici,
– pressione sui dipendenti affinché promuovessero la sua candidatura al Premio Nobel.

Un quadro che, se confermato, avrebbe scosso alle fondamenta l’organizzazione simbolo dell’élite globale.

L’inchiesta “interna”

Il board del WEF ha reagito incaricando due studi legali: Homburger a Zurigo e Covington & Burling negli Stati Uniti. Un’investigazione presentata come indipendente, ma commissionata direttamente dall’organizzazione stessa.

Il verdetto è arrivato ad agosto: nessuna prova di illeciti sostanziali, solo “blurred lines” (linee sfumate) tra impegni personali e attività del Forum. La motivazione è stata addirittura edulcorata: quelle irregolarità non sarebbero segno di abuso, bensì di “profondo impegno”.

Un linguaggio che suona più da comunicato PR che da rapporto legale.

Le dimissioni eccellenti

Mentre il WEF assolveva il suo fondatore, la crisi interna faceva le prime vittime.
Peter Brabeck-Letmathe, ex CEO di Nestlé e presidente ad interim del board, ha lasciato l’incarico con una lettera che parlava senza mezzi termini di un “ambiente tossico” all’interno del Forum.

Le sue parole confermano che, oltre alle accuse specifiche contro Schwab, il problema vero è una cultura organizzativa malata, fatta di favoritismi, pressione psicologica e gestione opaca del potere.

La nuova reggenza: Fink e Hoffmann

Dopo le dimissioni di Brabeck, il WEF ha nominato due figure di peso come co-presidenti ad interim:

– Larry Fink, CEO di BlackRock, il più grande gestore di patrimoni al mondo.
– André Hoffmann, vicepresidente del colosso farmaceutico Roche.

Due nomi che non sorprendono: finanza globale e industria farmaceutica, i due pilastri più potenti e controversi dell’era post-Covid.
La loro missione dichiarata è “reinventare e rafforzare il Forum come istituzione indispensabile per la cooperazione pubblico-privato”.

Per molti critici, però, è la prova che Davos resta in mano alle stesse élite globali che da anni ne dettano l’agenda.

Schwab, il patriarca assolto

Schwab, dal canto suo, ha accolto la decisione con soddisfazione.
Ha parlato di un verdetto che “pone le basi per il futuro del WEF, forte di oltre 50 anni di storia”. Allo stesso tempo ha avviato (e forse ritirerà) una causa legale contro i whistleblower, accusandoli di aver danneggiato irreparabilmente la sua reputazione.

Un paradosso: da un lato l’organizzazione lo assolve, dall’altro Schwab stesso sembra considerare il suo onore intaccato.

La narrazione ufficiale vs le ombre

Il WEF vuole girare pagina. Ma la narrativa ufficiale stride con le ombre che restano.

– Perché definire “profondo impegno” l’uso di fondi per spese personali?
– Perché non rendere pubblico il rapporto completo delle indagini?
– Perché non affidare l’inchiesta a un organismo davvero indipendente?

Il sospetto che si tratti di un auto-processo di comodo è forte. E il fatto che proprio i massimi rappresentanti della finanza e della farmaceutica abbiano preso il timone ad interim rende l’operazione ancora meno credibile agli occhi dell’opinione pubblica.

Un simbolo sotto attacco

Il WEF, nato nel 1971 come European Management Forum, è cresciuto fino a diventare il più potente hub dell’élite globalista. A Davos si incontrano capi di Stato, CEO, banchieri e intellettuali.
Sotto la guida di Schwab, il Forum ha spinto idee come:

– le carbon tax,
– le valute digitali delle banche centrali,
– la governance globale,
– la transizione green radicale,
– il transumanesimo e persino il veganismo come dottrina sociale.

E soprattutto il concetto del “Great Reset”, presentato come una reinvenzione del capitalismo in chiave di giustizia sociale.

Per i suoi sostenitori, un progetto visionario.
Per i suoi critici, un piano di ingegneria sociale guidato dalle élite, lontano anni luce dai popoli.

L’effetto boomerang

Paradossalmente, l’assoluzione di Schwab rischia di diventare un boomerang.
Non tanto per ciò che dice, ma per ciò che non dice.
L’assenza di trasparenza rafforza la percezione di un’élite che si giudica da sola e si autoassolve.

In un’epoca in cui la sfiducia nelle istituzioni internazionali è già altissima, il WEF avrebbe avuto l’occasione per aprire davvero i suoi archivi, dimostrare rigore, offrire prove. Non lo ha fatto.

Le conseguenze politiche

In Europa, come negli Stati Uniti, la vicenda rafforza le forze patriottiche e conservatrici che denunciano da anni l’opacità di Davos.
L’assoluzione di Schwab verrà letta come l’ennesima prova del “club dei potenti” che detta regole al mondo senza dover rendere conto a nessuno.

Per Trump a Washington e per i governi patriottici in Europa, la crisi del WEF è un’occasione: mostrare che il tempo delle oligarchie globaliste sta finendo, e che il popolo reclama un ritorno alla sovranità.

Klaus Schwab esce formalmente innocente.
Ma l’assoluzione non cancella le accuse, né le tensioni interne al Forum.
Anzi, rischia di marchiare per sempre il WEF come il simbolo di un sistema autoreferenziale: chi detiene il potere indaga su sé stesso, si assolve, e riparte come se nulla fosse.

Davos voleva essere il tempio della trasparenza e della cooperazione globale.
Rischia invece di diventare il luogo in cui il potere globale si mostra per quello che è: un’élite che non risponde a nessuno, se non a sé stessa.

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Leo Valerio Paggi
Leo Valerio Paggi
Leo Valerio Paggi per La Voce del Patriota.

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