La crisi dell’automotive non riguarda solo l’Italia, è tutta Europa a faticare. Non ultima la Volkswagen, marchio tedesco che per la prima volta in 87 anni di storia del gruppo potrebbe chiudere uno stabilimento nazionale. A lanciare l’allarme è la sindacalista e capo del Consiglio di fabbrica, Daniela Cavallo, la quale ha annunciato che “nessuno è più al sicuro”, dato che i vertici avrebbero intenzione di tagliare migliaia di posti di lavoro, “almeno tre stabilimenti”, il dieci per cento in media alle buste paga, i bonus, le una tantum e ridurre turni e linee di produzione. Notizia terribile anche per l’Italia dato che il 30 per cento della componentistica delle auto tedesche è fatta da imprese italiane. I ritardi accumulati dal gruppo automobilistico sulle nuove tecnologie iniziano a presentare il conto e l’italiana Cavallo ha denunciato “la mancanza di un piano complessivo” per il rilancio del marchio tedesco. L’azienda per ora tace sul tema ma l’amministratore delegato Thomas Schafer ha pronunciato parole simili a quelle usate dal Ceo di Stellantis Tavares in audizione al Parlamento italiano: “Guadagniamo troppo poco dalle nostre auto, allo stesso tempo, i nostri costi per energia, materiali e personale hanno continuato a crescere”. Il governo Scholz, già alle prese con una crisi che potrebbe portare al voto anticipato, si trova ad affrontare il problema annoso del marchio simbolo dell’industria tedesca. Il portavoce del cancelliere, Wolfgang Buechner, accusa i vertici di scelte errate: “I lavoratori non dovrebbero pagare per decisioni manageriali sbagliate”. Le tribolazioni del gruppo di Wolfsburg paiono molto simili a quelle di Stellantis: concorrenza cinese, rallentamento delle vendite e la costosa transizione verso l’elettrico. Il peccato originale è esplicato bene dall’europarlamentare di FdI-Ecr, Nicola Procaccini: “Per cinque anni abbiamo contrastato le politiche turboverdi di Timmermans, senza avere i numeri per fermarle. Abbiamo denunciato in ogni occasione possibile il pericolo che proprio il comparto dell’automotive sarebbe stato uno dei più penalizzati. Sono i frutti avvelenati di una ideologia perversa che abbiamo avversato in perfetta solitudine”. Sulla stessa linea il presidente di Confindustria Emanuele Orsini: “La notizia della probabile chiusura di tre stabilimenti Volkswagen e del taglio degli stipendi ci dice quanto abbiamo sbagliato nelle scelte ideologiche nella partita automotive. Oggi la questione deve essere come emettere meno Co2, non si può essere obbligati a usare una sola tecnologia, dobbiamo mettere al centro la neutralità tecnologica”. Il ministro delle Imprese e del Made in Italy, Adolfo Urso, rilancia la proposta italiana di anticipare al 2025 la revisione del piano per la transizione all’elettrico, considerando il rallentamento delle vendite di vetture sul cui sviluppo sono stati investiti miliardi per rispettare il diktat dell’Unione Europea che prevede la produzione solo di veicoli a batteria dal 2035: “Se continua questo trend, nel 2027 non ci sarà più l’industria dell’auto”.
In sintesi: l’Europa deve aprire gli occhi e tornare sui propri passi, altrimenti le sue scelte di politica industriale e ambientale porteranno al fallimento dell’intero comparto dell’automotive, settore non più sostenibile economicamente a causa dell’ideologica battaglia green portata avanti dalla sinistra europea.