Senza alcuna menzione al suo stato di salute, Joe Biden ha annunciato che non accetterà la nomination per il secondo mandato alla Casa Bianca. Ma parliamoci chiaro: se non è in grado di fare il candidato, come può essere capace di fare il presidente degli Stati Uniti d’America e decidere buona parte delle sorti del mondo per altri 182 giorni? E ancora, considerando che versa in condizioni palesemente inadatte a svolgere il ruolo di Commander in chief sin da quando è stato eletto, come faranno democratici e media mainstream a giustificare tre anni e mezzo di mistificazione della realtà dinnanzi ai disastri compiuti in politica interna e sullo scenario internazionale?
Una questione politica enorme, dinnanzi alla quale il ritiro dalla corsa elettorale è il dettaglio meno importante. Ovvio che, vista la loro implicazione diretta, i media mainstream spostino tutta l’attenzione sulla candidatura, nel maldestro tentativo di coprire anni di menzogne propinate ai loro lettori raccontando un vero e proprio sottosopra in cui Biden era un buon presidente e Trump viene sistematicamente travisato nonché descritto come il male assoluto. Ma ora torniamo alla cronaca del ritiro.
Le dichiarazioni di Biden
Nella nota rilasciata ieri sera, l’attuale presidente ha cercato di dipingere un quadro roseo del suo mandato, vantandosi di un’economia forte, investimenti storici, riduzione dei costi dei farmaci e l’espansione dell’assistenza sanitaria. Ha menzionato le cure ai veterani, la legge sulla sicurezza delle armi, la nomina della prima donna afroamericana alla Corte Suprema e la legislazione climatica.
Biden ha poi dichiarato di volersi concentrare sui suoi doveri presidenziali per il resto del mandato, affermando di aver preso questa decisione nell’interesse del partito e del paese. Infine, ha dato il suo pieno sostegno a Kamala Harris come candidata democratica.
Tutto suona come il disperato tentativo di riabilitare quella che ormai è consegnata ai libri di storia come l’Amministrazione statunitense più disastrosa di sempre.
La reazione di Trump
Dal canto suo, Donald Trump ha subito colto l’occasione per affermare che «Joe Biden il disonesto non era adatto a candidarsi alla presidenza e certamente non è adatto a servire – e non lo è mai stato! Ha raggiunto la posizione di Presidente solo attraverso menzogne, fake news e senza mai lasciare il suo seminterrato. Ora guardate cosa ha fatto al nostro Paese, con milioni di persone che attraversano i nostri confini completamente incontrollate e non verificate, molte provenienti da prigioni e ospedali di salute mentale e un numero record di terroristi. Soffriremo molto a causa della sua presidenza, ma rimedieremo rapidamente a tutti i danni che ha causato.»
Un disastro figlio del patto dell’establishment democratico
Nel mio ultimo libro, ho descritto il marcio che si annida all’interno dei democratici, dominati da tre famiglie: Clinton, Obama e Biden. Questo patto, nato tra il 2007 e il 2008, ha tenuto in ostaggio la politica democratica per anni. Hillary Clinton, la favorita del 2008, venne inaspettatamente sconfitta alle primarie da Obama, che poi ricevette il suo endorsement in previsione dell’avvicendamento tra i due nel 2016 ma, come sappiamo, Trump mandò all’aria il loro piano vincendo contro tutti i pronostici.
L’anziano Biden, scelto come vicepresidente per non oscurare Obama e non ostacolare Hillary, è diventato presidente solo perché nel 2020 i democratici non avevano alternative migliori. Ricordiamoci che proprio durante quella campagna elettorale Trump lo soprannominò Sleepy Joe (Joe l’assonnato, NdA) perché già allora i segni della sua inadeguatezza erano evidenti a chiunque, e sul fatto che in quelle condizioni possa davvero aver preso 81 milioni di voti rimane quantomeno qualche perplessità.
Utilizzando il medesimo criterio, a sua volta Biden scelse la mediocre Kamala Harris come vice, nonostante il misero 1% ottenuto alle primarie democratiche: i fatti dicono che il suo impatto alla Casa Bianca è stato per molti versi imbarazzante e, insieme all’inadeguatezza di Biden, rappresenta un’impietosa istantanea della moribonda leadership democratica.
La fine del grande inganno democratico
Il ritiro di Biden fa crollare il gigantesco castello di carte costruito dai democratici e dai media mainstream negli ultimi quattro anni. Hanno occultato la sua complicità nei loschi affari con il figlio Hunter ed hanno palesemente mentito sul suo stato psicofisico, dipingendolo come un ottimo presidente fino a tre settimane fa, salvo poi cadere dalle nuvole dopo il disastroso dibattito con Trump. Ogni sondaggio certifica che Joe Biden venga percepito da gran parte degli americani – democratici compresi – come il peggior presidente di sempre, e Kamala Harris è stata al suo fianco in ogni decisione.
Negli ultimi tre anni e mezzo ha firmato insieme a lui le fallimentari politiche sull’immigrazione, le eco-follie che hanno fatto lievitare il costo di abitazioni e generi alimentari, per non parlare della folle deriva woke in scuole e Istituzioni. Kamala Harris è corresponsabile di tutti questi fallimenti e ha mentito per quasi quattro anni sulle capacità mentali di Biden, imponendo agli Stati Uniti un presidente che non è in grado di svolgere il suo lavoro.
Considerazione finale
Il ritiro di Biden apre un nuovo capitolo per i democratici, ma la vera questione rimane la prima: se non è in grado di fare il candidato, come può essere capace di fare il presidente degli Stati Uniti? Di questa “grande bugia” i democratici saranno chiamati a rispondere al duo Trump-Vance da qui al 5 novembre.
Ora come ora, potrebbe accadere davvero di tutto, perfino che invochino il 25esimo emendamento per togliere completamente dalla scena l’imbarazzante Biden destituendolo anche dal ruolo di presidente. A quel punto la nomination per Kamala Harris sarebbe praticamente automatica, magari in un ticket tutto al femminile con Hillary Clinton: già mi vedo democratici e media mainstream tutti uniti, come se niente fosse, al grido «le donne salveranno il mondo da quel mostro di Trump».
Grazie al cielo, però, democrazia significa che decidono gli elettori, non i grandi media, non le multinazionali, non i giudici né tantomeno il partito “democratico” per diritto acquisito; a giudicare da come si sono messe le cose, sarà bene che comincino a farsene una ragione.