Calo degli sbarchi e irritazione a sinistra: perché il modello Albania fa paura ai benpensanti

L’accordo con Tirana potrebbe risolvere la questione migratoria: tenere lontani i clandestini dai confini è la svolta. Ecco perché sinistra, toghe rosse e Ong alzano la voce

Gli anglosassoni sostengono che nella vita è possibile esseri sicuri soltanto di due cose: la morte e le tasse. Ma non scherza neppure la certezza di alcuni dati. Men che meno quelli che certificano il calo degli sbarchi in Italia. Numeri inopinabili: secondo i cruscotti che quotidianamente il Ministero dell’Interno aggiorna sul proprio sito, nel 2022 i migranti che raggiunsero le nostre coste furono 105mila; nel 2023, arrivarono a 157mila. Quest’anno, invece, non raggiungeranno quota 100mila. Ma plausibilmente neppure quota 90mila o 80mila. L’anno è ancora in corso e, quando si scrive, si contano 61mila sbarchi per il 2024. Con una media di circa 5mila nuovi ingressi al mese (anche questa in calo: ad agosto 2023, gli sbarchi furono 25mila), si può prevedere che entro la fine dell’anno gli arrivi supereranno a stento, o forse no, quota 70mila. Rispetto all’anno scorso, durante il quale si sentì chiaramente il peso delle contingenze internazionali (come l’inasprimento dell’instabilità politica nel Sahel), il 2024 è destinato a concludersi con un ottimo -60% di sbarchi.

Un calo che continua, inesorabile, dall’autunno scorso. Da quando, in pratica, è entrata pienamente in funzione la fitta rete di accordi siglati dall’Italia con i vari attori in campo: tra Memorandum d’intesa e Piano Mattei, il dialogo del governo ha reso Roma uno dei Paesi più affidabili, un Paese leader nel Mediterraneo, creando un modello che – dati alla mano – funziona e che adesso viene ammirato anche da altri leader, anche se ideologicamente distanti da Giorgia Meloni. A voler scorgere un’ulteriore riprova della bontà di certe politiche, ci sono i dati sugli sbarchi estivi. Qualcuno, infatti, sperava in un aumento degli arrivi date le condizioni favorevoli del meteo nei mesi estivi, ma ha dovuto fare i conti con la realtà: rispetto ad agosto 2023, gli sbarchi di agosto 2024 sono stati del 65% in meno.

Poi, è arrivato il turno dell’accordo con l’Albania. Due centri per l’accoglienza e il rimpatrio, uno costruito a Shengijn, il secondo poco più a nord, a Gjader. Lì arrivano soltanto i migranti, maschi irregolari e provenienti dai Paesi inseriti nella famosa lista dei Paesi sicuri che il governo stila. Dopo la firma del protocollo avvenuta il 6 novembre 2023 da parte di Giorgia Meloni e del suo omologo albanese Edi Rama, il modello ha attirato l’attenzione di mezza Europa. Tant’è che sono stati 11 i Paesi che hanno partecipato alla riunione informale organizzata dai promotori, Italia, Danimarca e Olanda, nell’ambito del Consiglio europeo, proprio in tema di immigrazione. Con la presidente della Commissione Ursula von der Leyen che, nella lettera inviata ai capi di Stato e di governo, ha citato proprio il modello virtuoso dell’accordo con Tirana, una delle “soluzioni innovative” di cui l’Europa dovrebbe dotarsi. L’Italia, insomma, è riuscita a tirare a sé mezzo continente, anche leader di altre fazioni politiche, che evidentemente hanno compreso che il tema migratorio non deve essere ideologizzato. Non serve aspettare per forza il punto di non ritorno, non bisogna attendere una nuova Solingen, la città in cui un fondamentalista ha ucciso tre persone e ferito altre otto: si può agire anche prima che il problema diventi ingestibile.

Malgrado i fatti di cronaca (come il caso delle proteste contro la Polizia nelle periferie milanesi per la morte di un egiziano, che hanno fatto esplodere il caso delle banlieue) impongano una seria riflessione su quanti posti uno Stato riesce a mettere a disposizione affinché l’integrazione riesca, e non accada quello che è già capitato nelle maggiori metropoli europee: interi quartieri sottratti al controllo dello Stato e dell’ordine pubblico. Malgrado tutto ciò, insomma, la sinistra italiana ha tentato l’offensiva, presentando alla Commissione europea la richiesta di aprire una procedura di infrazione contro l’Italia. Procedure che, nel peggiore dei casi, si sostanziano perfino in sanzioni da pagare: «Avete capito bene – denunciò Giorgia Meloni sui social –: alcuni partiti italiani stanno più di fatto sollecitando l’Europa a sanzionare la propria Nazione, i propri cittadini con il solo obiettivo di colpire praticamente questo governo. Una vergogna che non può passare inosservata».

Poi arrivò l’assist della magistratura, con il tribunale di Roma che bloccò l’arrivo dei primi 12 migranti nei centri in Albania perché i loro Paesi di origine non potevano essere considerati sicuri, malgrado compaiano tutt’ora nella lista dei Paesi sicuri del governo. Erano bengalesi ed egiziani, rispediti in Italia perché in patria alcune minoranze, come omosessuali o dissidenti politici, non vengono tutelate, benché nessuno dei 12 si sia dichiarato appartenente a una di queste categorie, benché specialmente nessuno dei 12 sia stato audito dai giudici che hanno emesso i decreti. Ma sarà sicuramente un caso che siano proprio Bangladesh ed Egitto le nazionalità più numerose in quanto a domande di asilo…

La decisione dei giudici, poi seguita da quelle di altri tribunali nei giorni seguenti, faceva leva su una sentenza della Corte di Giustizia europea che, in un contenzioso tra Repubblica Ceca e Moldavia, su questioni distanti dal tema della lista dei Paesi sicuri, chiarì che un Paese non può essere definito sicuro se il suo intero territorio non lo è. Il paradosso è che con l’interpretazione dei giudici italiani, che allargano il requisito della territorialità anche al tema delle minoranze, tutti i Paesi del mondo divengono potenzialmente insicuri, i migranti possono accedere liberamente in Italia anche se non si dichiarano appartenenti a certe categorie. Insomma, rimpatriare diverrebbe impossibile. Sulla questione deciderà la Corte di Giustizia europea, a cui sono stati rinviati alcuni casi simili. Ma resta inteso che la scelta dei Paesi sicuri spetta all’esecutivo, in quanto decisione puramente politica, basata su valutazioni anche di politica estera in virtù del chiaro mandato dei cittadini espresso dietro le urne.

Il punto è che contro il protocollo siglato con Tirana, si sono levate le grida proprio di tutti: la sinistra italiana, quella dei Soumahoro; certi giudici, forti del loro passato da attivisti; le Ong, che anticipano le operazioni della Guardia Costiera per evitare che gli irregolari finiscano in Albania; gli scafisti, che dopo l’accordo con la Tunisia hanno visto calare vertiginosamente il loro business. Questo perché tutti, tacitamente, hanno capito che il Memorandum con l’Albania è quello potenzialmente risolutivo: far arrivare i migranti fuori dai confini dell’Europa (ecco l’innovazione rispetto al passato) elimina quell’enorme incentivo che è l’approdo sulle nostre coste, nella speranza di farla franca, eludere i controlli, scappare e far perdere le proprie tracce per entrare in Europa. Tutto ciò, arrivando a Gjader, non potrà esserci. Va considerato soprattutto l’effetto potenziale del modello Albania, che ha già fatto vedere i suoi frutti: sempre più clandestini stanno giungendo alle nostre frontiere dotati di passaporto, sperando di non essere spediti in Albania, semplificando al contempo le modalità di identificazione per le nostre autorità. Non sono più dei “signor nessuno”, ma persone con nomi e cognomi. Ed è già un risultato non scontato.

Intanto, il lavoro va avanti. L’esecutivo ha innalzato la lista dei Paesi sicuri a norma di rango primario (più difficile da evitare per i giudici) e la nave Libra ha ripreso a trasportare migranti verso l’Albania. Gli sbarchi, come detto, continuano a calare e da tutta Europa arrivano le lodi al lavoro svolto da Giorgia Meloni. Ultima, ma solo cronologicamente, quella lanciata dal Sunday Times, che parla di “Meloni style”, uno stile Meloni al quale anche il premier inglese (e laburista!) Keir Starmer guarda con ammirazione. Ecco perché la sinistra si irrita, forse il segnale più importante per continuare su questa strada.

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