È l’ultima, inutile prova di forza del governatore. Quella che si terrà stamane nell’aula del consiglio regionale della Campania diverrà così la riprova finale della sua debolezza, e costituirà l’occasione, molto probabilmente, del suo definitivo tramonto.
Ma andiamo con ordine nel ricostruire le sequenze di questo golpe istituzionale in salsa campana. Il presidente De Luca ha imposto alla maggioranza di centrosinistra in Consiglio regionale la sua dinamica padronale. Ha preteso dalla sua maggioranza, più succube che complice, atto di cieca obbedienza: e la assemblea legislativa regionale, pur di compiacerlo, si propone ora di legiferare per permettergli di candidarsi per la terza volta, e per stabilire — in aperto, insanabile contrasto con una legge dello Stato — che evidentemente per De Luca la legge è meno uguale che per gli altri.
E la vera vittima di questo scempio non è — o almeno non solo — la facoltà del terzo mandato, perché tanto De Luca uscirà sconfitto e travolto dalle urne del prossimo anno, quale che dovesse essere la regola elettorale: la vera vittima è piuttosto il concetto stesso del rispetto delle regole dello Stato di diritto da parte del suo massimo vertice istituzionale a livello territoriale.
Indifferente alla legge, al buon senso, e alle ragioni di opportunità, il governatore ha giustificato la forzatura ricorrendo all’eterno alibi della necessità di contrastare l’autonomia differenziata: e nel consueto trionfo di ipocrisia politica, De Luca si è autoproclamato paladino del Sud, promuovendo un ricorso — peraltro platealmente inammissibile — per cavalcare l’onda mediatica e per nascondere il suo disastro amministrativo, e solo perché funzionale al proprio assetto di potere: questo dopo aver per lungo tempo mendicato ai Governi precedenti ogni forma di ulteriore autonomia.
Dal punto di vista politico, il tema del terzo mandato in Campania ha assunto tratti surreali, perché la sua legittimità è stata imposta da un Sultano che, dopo due mandati, è astiosamente isolato nel suo fallimento, ormai inviso alla coalizione che lo sostiene, e rinnegato — per ragioni di indegnità politica — dallo stesso partito che in origine lo ha espresso e legittimato.
Dal punto di vista costituzionale, il limite dei mandati è stato peraltro previsto proprio per garantire il corretto equilibrio tra la libera espressione del voto popolare e l’esigenza di autenticità della competizione elettorale, e per evitare quindi una eccessiva concentrazione ed una impropria personalizzazione del potere: esattamente ciò che è accaduto negli anni della presidenza De Luca, che ha trasformato la Regione in un sultanato orientale, sorretto solo da un perverso intreccio di interessi e clientele.