Crisi Marelli e gli interessi (non proprio nascosti) della sinistra progressista

Che cosa lega la famiglia Agnelli-Elkann, la compagnia Stellantis e il mondo della sinistra italiana (in particolare, Pd e Cgil)? Risposta: la crisi della Marelli.

Per capire perché la crisi dell’azienda riguarda non solo alcuni singoli attori, ma l’Italia intera, occorre fornire una panoramica degli eventi che hanno portato al punto a cui siamo oggi.

Il contesto storico-economico dell’azienda Marelli

Nel 1891 Ercole Marelli fonda a Milano l’omonima azienda specializzata nella produzione di motori e apparecchi elettrici, che circa vent’anni dopo diventa leader tecnologico e fornitore cruciale per il gruppo Fiat, tanto da arrivare a cifre da capogiro: infatti, il fatturato nel 2017 è di ben 8 miliardi.
L’azienda è specializzata in lighting (illuminazione dei mezzi), elettronica e digitale (indicazione velocità, giri, display) e i componenti per il motore (elettrico ed endotermico). Produce anche sospensioni, sistemi di scarico, motor sport.

Nel 2018 la Marelli viene ceduta dal gruppo FCA per 6,2 miliardi di euro a Calsonic Kansei, società giapponese controllata dal 2017 dal fondo Usa Kkr. Grazie a questa cessione gli eredi della famiglia Agnelli hanno realizzato una plusvalenza di oltre 1 miliardo di euro con un effetto boom sui conti semestrali di Exor: utile netto di 2,43 miliardi di euro, triplicato rispetto ai 741 milioni dello stesso periodo dell’anno precedente.

La cessione è stata annunciata nel periodo del primo governo Conte e perfezionata poi nel 2019 sotto il governo Conte II, sostenuto anche dal PD. I sindacati all’epoca confermavano: “Non ci sono sovrapposizioni produttive che possano generare timori di chiusure o di esuberi”.  
Peccato che solo qualche anno dopo la situazione si sia completamente ribaltata, e l’azienda conta in Italia 7.300 dipendenti, ben al di sotto dei 50.000 nel resto del mondo, un dato rilevante se si pensa che prima della cessione i dipendenti totali erano 43.000, la cui maggioranza era situata nel nostro Paese.

Ma non solo, perché nel 2023, dopo la messa in cassa integrazione per i dipendenti di Tolmezzo, Bari, Melfi e Sulmona, e l’incentivazione delle uscite di circa 800 persone, la Marelli, oramai giapponese, tira dritto anche sulla chiusura della fabbrica di Crevalcore, con buona pace delle precedenti rassicurazioni e senza alcuna remora nei confronti dele centinaia di dipendenti che vi lavorano.

La decisione di chiudere Crevalcore, fabbrica di componenti per motori attualmente impegnata nella produzione di collettori di aspirazione aria e di pressofusi di alluminio sita nella provincia di Bologna, è stata comunicata a Fim, Fiom, Uilm e Uglm nel corso di un incontro a Roma qualche settimana fa. Dietro lo stop produttivo ci sarebbe sia il risultato economico negativo, previsto per quest’anno pari a circa 6 milioni di perdita, sia la dinamica negativa delle attività legate al motore endotermico che oggi porta a un utilizzo del 45% della capacità produttiva e calerebbe naturalmente anno dopo anno fino ad arrivare al 20% nel 2027.

Le vicende che hanno portato alla decisione di chiusura dello stabilimento romagnolo

Il contesto in cui si inserisce la chiusura dello stabilimento Marelli di Crevalcore è legato però non solo allo stress prodotto dalla transizione verso l’elettrico, ma anche al fatto che le fabbriche che producono componenti per i motori tradizionali sono legate a doppio mandato ad un unico cliente: Stellantis.
Infatti, Il 95% degli ordini di Crevalcore arriva da Stellantis, ovvero lo stesso gruppo industriale guidato da John Elkann che nel 2021 escludendo tagli negli stabilimenti italiani aveva però fatto sapere che l’azienda aveva intenzione di comprimere il più possibile i costi internalizzando il più possibile gli appalti esterni. L’internalizzazione è un modus operandi caratteristico di Peugeot che il gruppo Stellantis ha recepito mettendolo in pratica anche in Italia, senza tener conto delle specificità del contesto nazionale, tanto che il nostro tessuto industriale lo ha pagato a caro prezzo.

Sulla questione dell’internalizzazioni, come si legge su La Verità, “pesa evidentemente a livello di strategia la preponderanza francese nel Cda del gruppo, visto che la volontà di internalizzare tutte le produzioni più profittevoli è tipica di Peugeot ed è agli antipodi della tradizione della Fiat”.

Le reazioni alla volontà di chiusura di Crevalcore e il ruolo del Governo Meloni

Il Ministero delle Imprese e del Made in Italy e il Ministero del Lavoro hanno immediatamente convocato d’intesa un tavolo di crisi con le istituzioni locali e nazionali, i sindacati e l’azienda, per porre quanto prima rimedio alla questione Marelli, che rischia di aprire una profonda crisi all’interno della società.  

È così che il 3 ottobre si è svolto il primo incontro per affrontare il nuovo status della Marelli. Alla riunione, presieduta dal ministro Adolfo Urso e dal sottosegretario Fausta Bergamotto, partecipano i vertici aziendali, le parti sindacali e datoriali, le rappresentanze dei lavoratori, della Regione Emilia-Romagna e della Città Metropolitana di Bologna.

Durante il meeting, la Marelli ha fatto sapere che dietro la decisione di chiudere il sito ci sono le “difficoltà oggettive legate alla transizione, alla mancanza di commesse e alla scelta di Stellantis di lavorare su piattaforme ex Peugeot e non ex Fiat”.        

In questa occasione il Governo Meloni è riuscito ad ottenere un primo ma significativo successo, con l’accoglimento da parte dell’azienda della proposta di sospendere sine die la procedura di chiusura, ottenendo la disponibilità ad approfondire tutte le ipotesi in campo per salvaguardare le attività dello stabilimento.

La procedura di chiusura è stata dunque sospesa senza alcuna scadenza temporale, in modo da permettere un confronto tra tutti gli attori coinvolti, con l’obiettivo di realizzare una piena reindustrializzazione del sito, in modo da non dover far chiudere i battenti e lasciare centinaia di persone senza lavoro.          

Schlein, Landini e i punti oscuri su Stellantis

Dopo l’annuncio della chiusura dello stabilimento anche la segretaria dem si è schierata a favore di Crevalcore, promettendo pieno supporto, e, insieme all’oramai inseparabile compagno Landini, ha colto l’occasione per scagliarsi di nuovo contro il governo.    
“Insieme alle altre organizzazioni, i metalmeccanici e addirittura a Federmeccanica, cioè alle imprese, stiamo chiedendo da tempo al governo che si apra nel nostro Paese un tavolo per decidere politiche industriali capaci di affrontare la transizione, ma di tutte queste cose oggi noi risposte non ne abbiamo”, ha detto il sindacalista.           
Elly Schlein ha invitato l’esecutivo a spendere i 6 miliardi a disposizione per l’automotive, contestando il fatto che il governo abbia un canale aperto con il fondo americano Kkr (proprietario di Marelli) per l’acquisto di Tim.            
Peccato che nessuno dei due abbia neppure nominato Stellantis, gruppo con il quale l’esecutivo di Giorgia Meloni ha intavolato una importante e serrata trattativa per rilanciare il settore dell’automotive e l’indotto. Eppure né Landini né Schlein osano pronunciare il nome di Stellantis, né tantomeno quello dell’AD Carlos Tavares per inchiodarli alle proprie responsabilità. Figuriamoci quello del presidente, John Elkann, che nel 2020, tramite Exor ha acquistato il gruppo Gedi, che è diventato editore, fra gli altri, di Repubblica e La Stampa, due dei maggiori quotidiani nazionali che non perdono occasione per infierire sul governo e portare avanti le istanze dell’opposizione progressista, che negli anni si è sempre dimostrata allineata agli interessi del gruppo industriale degli eredi di Agnelli.

L’evoluzione della vicenda

La crisi Marelli sembra ad oggi essere stata per lo meno contenuta, grazie all’intervento rapido e diretto del Governo trainato da Fdi.

Oltre all’immediato supporto dell’esecutivo apportato alla causa, va comunque ricordato che questo Governo, sin dalla sua nascita, ha denunciato la preponderanza della parte francese nel Cda e i rischi sul fatto che più che una fusione tra FCA e PSA, sia avvenuta una acquisizione da parte dei francesi senza che il governo dell’epoca, Conte II, battesse ciglio.       
L’allarme era stato lanciato a più riprese da Giorgia Meloni ed era stato confermato già nel 2022 dal Copasir, che metteva in guardia sullo “spostamento del baricentro di controllo del neo costituito gruppo sul versante francese, con ricadute già evidenti nel settore dell’indotto connesso con le linee di produzione degli stabilimenti italiani” e che all’epoca chiedeva, “al fine di preservare gli interessi nazionali nell’industria automobilistica”, di valutare “un interessamento di Cassa depositi e prestiti, il cui eventuale ingresso nel gruppo industriale potrebbe favorire un ribilanciamento di pesi tra la componente francese e quella italiana, così proteggendo le tecnologie e l’occupazione”.

La chiusura dello stabilimento di Crevalcore, che ha come principale cliente Stellantis, è evidentemente parte di questo processo, che negli ultimi anni si è manifestato con la preponderanza di modelli prodotti in Francia rispetto all’Italia.

Eppure né il leader di uno dei principali sindacati confederali, Maurizio Landini, né la leader del Pd, Elly Schlein, hanno pensato di richiamare John Elkann e il gruppo alle proprie responsabilità, evidentemente perché non conviene di certo attaccare l’editore dei quotidiani che oramai sono divenuti parte integrante della propaganda dell’opposizione. È dunque chiaro che né i dem né i sindacalisti potrebbero mai scontrarsi contro i loro stessi potenti sostenitori, che danno voce e sostegno ad ogni loro istanza.

Fortunatamente, il Governo Meloni così come già fatto in altre occasioni (vedi l’azione Whirlpool), non ha alcun altro interesse se non quello di garantire la stabilità lavorativa ed economica degli italiani, sostenendo la crescita e la produttività del settore industriale nazionale. La strategia adottata dall’esecutivo è stata chiara sin dall’inizio, e mira a fornire sostegno e incentivi alle imprese del territorio. Ma, ancora più nel concreto, si è apertamente schierata dalla parte degli operai nella questione Marelli, riuscendo in breve tempo ad ottenere una sospensione della procedura di chiusura, dando nuovo fiato a centinaia di persone che rischiavano di pagare a caro prezzo una situazione di cui non sono affatto responsabili. Il Governo ha dato il via ad un confronto serrato teso ad approfondire tutte le ipotesi in campo per salvaguardare le attività dello stabilimento e il futuro dei lavoratori, e continuerà a farlo. La prossima tappa è quella dell’8 novembre, quando si terrà una nuova riunione per fare il punto sull’evoluzione delle trattative. Con buona probabilità ciò che verrà fuori da questa interlocuzione sarà una vittoria dei lavoratori e per i lavoratori, con buona pace di coloro che si prodigano a schierarsi dalla parte del proletariato difendendo in realtà interessi ben diversi.

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