In Europa il problema green, formula con la quale si può intendere il coacervo di misure adottate dalla Commissione europea in nome dei dogmi ecologisti, incombe sulla produzione dei singoli Stati membri, sull’economia e sulla competitività del continente, in generale sulle nostre viste e paradossalmente è diventato più persistente di quanto non lo sia la questione ambientale e il surriscaldamento globale. Quelle politiche che, insomma, dovevano salvare l’Europa dall’inquinamento, stanno invece provocando maggiori danni dell’inquinamento stesso, affossando la produzione di tutti gli Stati membri e riducendo la competitività delle nostre industrie, specie verso quelle economie che invece non sono soggette agli stessi vincoli che noi siamo costretti a patire. Il nostro Pil, quello del continente, è in altre parole frenato, se non bloccato, dalle stringenti clausole imposte dalla Commissione europea, da scelte politiche, anzi ideologiche, che non hanno tenuto per nulla conto delle esigenze dell’uomo e del cittadino europeo.
Se ben si guardano i dati, infatti, a esclusione di un’Italia che riesce ancora a competere di fronte a un periodo di stagnazione generale, gli export europei stanno rallentando, così come pure la produzione: in pratica l’Europa dà poco ed è costretta a ricevere tanto, in termini di scambi commerciali. Inevitabilmente, il risultato è la dipendenza da potenze straniere, l’assoggettamento dell’Europa e la sua impossibilità di ergersi come un blocco forte dell’alleanza atlantica e un soggetto a sé in politica internazionale. È tutto un susseguirsi: da scelte sbagliate derivano risultati peggiori.
La sentenza dell’ad contro la Ue
Se poi tutto ciò viene confermato da esperti, da chi vive ogni giorno il mondo degli affari e della produzione, può voler dire, allora, che forse veramente le cose non vanno come dovrebbero. Le parole di Claudio Descalzi, ad dell’Eni, sono una sentenza: “Se facciamo il focus sull’automotive, che è importante, ci fa anche arrabbiare perché la questione, la transizione verde così come concepita e partorita dalla Commissione “è insulsa e ridicola. Non voglio essere antieuropeo – ha detto – ma anche la stupidità uccide e ci sta uccidendo perché dobbiamo subirla sulla base di ideologie ridicole che ci vengono dettate da una minoranza dell’Europa, non una maggioranza, e noi dobbiamo continuare a digerirle e chinare il capo morendo lentamente”. È quello che potreste sentire dire da qualunque politico di destra del continente, ma la questione assume maggiore valore se anche gli esperti riportano i dati, incontrovertibili, inopinabili. La fase discendente dell’Europa è un fatto, un trend di calo che non accenna a smettere: “Il settore secondario è stato fermato, si è andati sul terziario che era sollecitato dalla globalizzazione; noi importiamo più del doppio di quello che esportiamo”.
Le politiche green non piacciono più a nessuno
Non è, o meglio non dovrebbe essere una questione politica. Tuttavia lo diventa se certe scelte sono frutto non di ragionevole e oggettivo studio e compensazione tra benefici e sacrifici, ma di decisioni per partito preso. Come quella dello stop alla produzione di motori endotermici a partire dal 2035, in pratica tra quasi un decennio. Una scelta presa senza considerare quanto l’industria europea fosse pronta a spostarsi sull’elettrico, che pure è in calo nelle vendite dati gli eccessivi costi e la bassa efficienza. Assoggettando, così, un comparto economico fondamentale per l’economia europea, quello automobilistico (interi Paesi, come Italia e Germania, basano gran parte della loro politica industriale sull’automotive), a chi invece era già pronto a produrre elettrico. La Cina, appunto. Senza considerare, neppure, quanto inquini produrre un veicolo elettrico e soprattutto smaltirlo, con le batterie a litio che sono ancora una bella e grossa incognita. Insomma, le scelte comunitarie sul green non piacciono più a nessuno: né ai governi che sempre, finora, hanno difeso la transizione ecologista della Ue, né a chi lavora e investe nel mondo della produzione e dell’impresa.