Golda Meir, quarto premier d’Israele e prima donna a guidare il governo del suo Paese, diceva: “se gli arabi depongono le armi sarà pace, se lo facciamo noi Israele sparirà”.
Un’affermazione su cui oggi, più che mai, vale la pena tornare a riflettere. Le scene agghiaccianti di queste ore con i terroristi di Ḥamās che entrano nelle case degli israeliani battendole a tappeto per rastrellare e uccidere famiglie, facendo strage di soldati e civili al grido di “Allahu akbar”. I sostenitori della jihād che dai campi per migranti della Grecia a capitali europee come Londra e Berlino intonano cori “dal fiume al mare”, chiedendo uno Stato palestinese dal fiume Giordano al Mar Mediterraneo. Sono tutte manifestazioni della volontà di cancellare l’esistenza dell’unico stato ebraico al mondo, attraverso la guerra, il terrore, la pulizia etnica.
Nick Timothy, in un editoriale sul Telegraph, ricorda come il popolo palestinese avrebbe già potuto avere un proprio Stato se non fosse stato per i suoi leader. Inoltre
Troppo spesso si dimentica che Israele restituì il Sinai all’Egitto dopo un trattato di pace nel 1979, offrì uno Stato palestinese a Oslo, fece lo stesso sotto il governo guidato da Kadima e si ritirò unilateralmente da Gaza quando quell’accordo fallì. Ogni volta che Israele ha offerto terra in cambio della pace, la risposta è sempre stata un’altra guerra.
Oggi, come e più di ieri, dobbiamo convincerci della assoluta necessità di schierarci tutti a difesa dell’esistenza di Israele, dei valori democratici che rappresenta e del suo diritto a difendersi dai tentativi di genocidio che i suoi nemici vorrebbero mettere in atto.