Diceva un famoso uomo politico italiano – che magari qualcuno definirebbe famigerato – che a pensar male si fa peccato, ma il più delle volte ci si prende. Anche quando sei un po’ stufo di pensar male perché ormai non fai nulla di diverso da anni, e da anni purtroppo ci prendi.
L’arrivo fulmineo del Decreto Dignità ad opera di una squadra grillina capitanata da un rampantissimo Luigi Di Maio il dubbio ce lo aveva fatto venire subito. Pensiero nemmeno troppo fugace, e sicuramente cattivello: non sarà che tutta questa fretta a buttare fuori ‘sto decreto sia motivata non tanto le esigenze di dare risposte concrete sul mondo del lavoro ai cittadini italiani, quanto dal tentativo di non farsi oscurare da Salvini, ultimamente innalzato sugli altari nazionali per la sua battagli contro l’immigrazione selvaggia?
Del resto, apri un quotidiano ed ecco Salvini che arringa la folla: “Amici, l’Italia agli italiani. I soldi degli italiani per gli italiani. La sanità prima agli italiani. Le case popolari nemmeno a dirlo… Siete con me, amici?”, manco ci si aspettasse che qualcuno risponda no in buonafede, scafisti, “accoglitori” di professione e “piddini” orfani di potere, esclusi. Insomma, il nostro Ministro dell’Interno che, per carità, bravo è bravo, si è accaparrato una di quelle battaglie che di questi tempi a condurla sfondi una porta aperta. Al di là dei Del Rio, dei Martina, delle Boldrini e dei tristissimi Saviano, l’umore dei nostri connazionali nei confronti di un’invasione incontrollata, in atto da anni, e che oltre a costarci miliardi ci sta anche travolgendo, la conoscono anche i sassi. Quindi sono bastate un paio di mosse non sappiamo quanto pubblicitarie e quanto di sostanza – questo solo il tempo potrà dircelo – che ecco Salvini assurgere a quell’Olimpo ideale che gli italiani riservano al beniamino di turno, spedendocelo a razzo magari prima ancora che ne sia stata provata l’effettiva capacità, salvò poi cacciarlo a gran voce alla prima difficoltà, alla prima legge che non accontenta tutti, e magari prima ancora che il bluff venga visto.
Questa storia del capo leghista che in meno che non si dica si mangia il beniamino delle piazze, delle nonne e delle mamme, il “fidanzatino d’Italia”, quell’azzimato Gigino Di Maio che fino al giorno prima era stato il più osservato, coccolato e applaudito del Bel Paese, al diretto interessato proprio non deve essere andata giù. Considerando quanto il ministro del Lavoro ci tenga alla sua immagine e al suo consenso personale, non possiamo sbagliare nell’immaginarlo mentre si rigira nel letto durante interminabili notti insonne, a seguire su Skytg24 le notizie sull’altro vicepremier che miete successi, e che viene innalzato al ruolo di Salvatore della Patria, dove Salvatore non è il nome proprio.
Così, ecco che il nostro giovin signore penta stellato deve aver dato fuoco alla miccia. Uno dei passaggi più delicati di questa legislatura in embrione, che dovrebbe rilanciare l’occupazione e di conseguenza l’economia italiana, che dovrebbe essere pensato e ripensato magari per evitare brutture come quelle causate dalla Fornero – vi dice niente il termine “esodati”? – viene stilato, controllato, riletto e presentato nello stesso tempo che occorrerebbe per un decretino di quelli che stabiliscono se si possa o meno fumare nell’androne dei palazzi.
Risultato? Un casino. Non temiamo di dirlo, perché è già sotto gli occhi di tutti, e non perché ci facciamo trascinare da Boeri, uno che non stimiamo e perciò meno che meno ascoltiamo, ma perché è evidente che i posti di lavoro non si creano per decreto. Che non è imponendoli che i contratti a tempo indeterminato vengono digeriti dalle aziende, soprattutto quelle che per via della crisi e di un’imposizione fiscale degna dello Sceriffo di Nottingham, faticano a restare aperte, a non tirare giù le saracinesche con un “tutti a casa” che non sarebbe per niente liberatorio.
Ed ecco dunque che nemmeno il decreto è arrivato, che già ci sono le prime vittime di quella che può essere stata una mossa dettata dalla vanità, più che dalla voglia di fare bene. Sono 20. Lavorano, anzi, lavoravano alla Nestlé, e grazie al decreto di Gigino che dovrebbe stabilizzare i precari, sono per strada. Lanciano un appello: “Siamo un gruppo di 20 lavoratori precari da 15 anni in somministrazione presso la Nestle di Benevento, le prime vittime del decreto dignità, da precari siamo diventati disoccupati, avendo raggiunto il limite, la Nestlé non ci ha più chiamati… Aiutateci”.
E come? Rivedrà le sue stesse posizioni Luigi Di Maio prima che si scateni un vero putiferio, o terrà duro perché i sondaggi gli dicono che grazie all’apparenza del Decreto di Dignità il Movimento 5stelle ha di nuovo sorpassato la Lega sebbene di pochissimo? Insomma, a qualcuno frega qualcosa della pelle degli italiani, oppure ognuno è solo concentrato sull’orticello suo e sull’eventuale immagine vincente che può vantare?
Ai posteri…